martedì 29 maggio 2012

Il bicchiere di cristallo



















Il bicchiere quasi stenta a ricordare le sue antiche origini. Sarà l’età o i continui lavaggi con sostanze che non esistevano ancora alla sua nascita o le mille avventure vissute attraverso il suo secolo di vita. Ora se ne sta quietamente riposto in una credenza da cucina, una sistemazione poco nobile se si pensa ai fasti cui era abituato da giovane.

Lui e i suoi fratelli provenivano da una delle migliori cristallerie di Francia, forse dalle Cristallerie Reali della Champagne, forse da Baccarat ma l’origine non era importante quanto la famiglia nella quale lui e i suoi gemelli hanno iniziato una sfavillante e tintinnante carriera.

Ricorda ancora il primo incontro da brivido con le bollicine fresche e il tocco delicato delle labbra della ragazza cui era toccato in sorte. Da giovane si divertiva con i fratelli emettendo suoni felici ad ogni incontro e riflettendo la propria allegria insieme alle luci della sala.

Poi, col tempo e la maturità, iniziarono i momenti meno fastosi, poco per volta i fratelli scomparvero  alla sua vista, le occasioni mondane cui era invitato si fecero meno frequenti e per lui, passato indenne attraverso un turbine di vita, iniziò un periodo quieto, animato solo dalle poche feste tradizionali.

Un brivido lo percorre ancora oggi al ricordo di un ragazzino, al quale avevano insegnato a far suonare i bicchieri, che lo aveva quasi frantumato cercando di estrarne un suono. Alla fine, unico rimasto della sua famiglia, finì insieme ad altri vetri plebei scompagnati in un angolo della cucina da dove uscì per ritrovarsi un giorno esposto su una bancarella di oggetti vecchi che nessuno voleva più.

Il suo destino sembrava ormai segnato e già si vedeva sballottato da una fiera all’altra, esposto senza cura né riguardo su vecchie assi di legno. Un giorno però un signore dall’aria sognante incontrò un suo luccichio e incuriosito si avvicinò per osservare meglio quella fonte di luce inattesa.

Allungò una mano e lo prese. Dopo un tempo che neanche lui riusciva a ricordare, il bicchiere provò il tocco di una persona gentile che lo sapeva apprezzare e non si vergognò di apparire così dimesso e impolverato perché negli occhi di quella persona vedeva accendersi una luce particolare.

Il signore, un vecchio cuoco, rimase un momento sopra pensiero, stupito di vedere un oggetto di cristallo così raffinato in mezzo a tanto ciarpame e lo guardò con gli occhi resi competenti da una vita a contatto con le cose belle.

Fu cosa di un momento, il bicchiere incartato frettolosamente da un commerciante che mai ne ha conosciuto il pregio finì nelle mani del signore che lo ripose delicatamente nella borsa. Insieme arrivarono a casa dove il cristallo, dopo un delicato ma approfondito lavaggio, per far bella figura iniziò a brillare come mai aveva fatto.

Sempre giocando con la luce osservò il vecchio mentre impastava una sfoglia sottile e profumata di uova, lo vide stenderla con una cura e un’abilità che rasenta la danza, annusando la terrina contenente un ripieno fragrante.

Improvvisamente il cuoco prese il bicchiere, lo rovesciò e, tenendolo per il gambo sottile, iniziò ad incidere la pasta con gesto sicuro e delicato ricavandone piccoli dischi che, una volta accolto il pizzico di ripieno, con un gesto meraviglioso del vecchio cuoco diventarono cappelletti.
 
Il bicchiere si stupì, frastornato e quasi indignato per questo uso improprio cui era stato forzato e, come tutti i bicchieri di cristallo dal carattere permaloso e suscettibile, iniziò a pensare di aver toccato il fondo della propria esistenza.

Sempre adombrato da questi pensieri non si accorse di essere nuovamente preso in mano e si risvegliò solo quando sentì scorrere tutto intorno un getto di acqua tiepida e il profumo del detersivo che lo lava dalle piccole tracce di pasta e di farina. L’umore cambiò poi quando venne asciugato in un morbido lino e posto dignitosamente in piedi sul tavolo.

D’un tratto un colpo secco, un suono familiare, lo sorprese e un getto fresco e spumeggiante lo inondò riportandolo all’infanzia e ai ricordi dei mille pizzicorini che le bollicine gli procuravano salendo in superficie. Si stupì e non si seppe spiegare la nuova situazione se non dopo aver ascoltato le parole del vecchio cuoco che, dopo un lungo sorso, gli aprono la mente:

-                     Tu ed io faremo grandi cose insieme.
 
Il vecchio bicchiere ha trovato una nuova casa, forse meno fastosa ma sicuramente accogliente e sa di essere apprezzato anche se ora la sua dote più ricercata è quella di avere un diametro come quello che Pellegrino Artusi suggeriva nel suo libro di ricette. Chissà se il grande cuoco abbia fatto la conoscenza di qualche suo fratello.



venerdì 25 maggio 2012

Istanbul

















Passeggiate pazienti attraverso mondi bizzarri, odori, suoni e colori, panorami, genti e gatti.

Tempo incerto, acquazzone da diluvio universale, sole cocente e nuvole leggere.

Taxi, tram, metropolitane, autobus, battelli, funicolari e funivie.

Bevande piccanti, panini con pesce e cipolla, tè nero profumato e caffè dello stesso colore.

Kebab e altre carni, verdure freschissime e croccati, frutta meravigliosa e gustosa.

Spremute di arancia da paradiso e fragole succose.

Nomi incomprensibili dal suono musicale.

Albergo da favola in mezzo a strade fantasma della città vecchia a un passo dal porto.

Gente brulicante ad ogni ora e voci che parlano un groviglio di lingue.

Abiti occidentali dal taglio perfetto insieme a lunghi mantelli.

Barbe bianche contornate da tuniche e tailleur.

Venditori di caldarroste, pannocchie arrostite, pani al sesamo e cozze con limone.

Donne meravigliose ed eleganti nei vestiti tradizionali, ragazzi occidentali e balene vestite di nero.

Musicanti di strada e muezzin dalla voce tonante.

Smog nell'aria e aiole profumate.

Acque solcate da mille imbarcazioni danzanti.

Dedali di vie nel gran bazar e i colori accecanti del mercato delle spezie.

Pescatori sul ponte Galata e gabbiani in agguato.

Fortezza d'Europa scalata senza corde per vedere uno scorcio del Mar Nero.

Porta container larghe quasi quanto il Bosforo.

Feste, matrimoni, cerimonie.

Ingorghi stradali inestricabili e autisti pazzi.

Moschee dalle luci soffuse e colori pastello, Topkapi rigoglioso e il diamante indimenticabile.

Canti dei preti ortodossi e riti antichi.

Autobus sgangherati e tram del futuro.

Echi di cammelli indolenti e cavalli scalpitanti nel serraglio della fantasia.

L'aria tiepida della sera.


lunedì 14 maggio 2012

Vento del nord

















Potrei raccontarti anche io del vento del nord, ma lo farei con il linguaggio delle nuvole.
Lo farei con gli occhi socchiusi per inseguire le nuvole che passano indifferenti ma non tutte perche' alcune si attardano, piu' basse delle altre e sembrano osservarmi; sono grigie, certe anche plumbee ma non cattive, solo un po' seriose perché non sanno sorridere come quelle bianche e spumeggianti.

Quelle grigie sono una via di mezzo, stanno a poco a poco imparando a non prendersi sul serio e sono le piu' disposte ad accorgersi del mondo.
Io invece mi sto accorgendo della gente, non e' più trasparente ma compare all'improvviso, prepotentemente all'attenzione e non so se scegliere le nuvole o le persone; forse farei bene a portare le persone sulle nuvole.

mercoledì 9 maggio 2012

Reazione a catena




Non sopporto l’idea di alzarmi presto per uscire in inverno, ma questa cosa la devo proprio fare e mi devo fare forza. Sono le 5:30, tra un’ora ho il volo per Londra da dove proseguirò per New York dove ho un appuntamento di lavoro. Gli aerei viaggiano sempre, incuranti degli orari e così io mi trovo in pieno centro ad essere tagliato a fette da una tramontana che non perdona.

Nei giorni scorsi ho pensato a tutto ma non ai soldi per il taxi per l’aeroporto. Sono innervosito da questa distrazione, sarà l’età o i mille pensieri. Rischio di perdere il volo e se c’è una cosa che mi mette ansia al mondo è quella di non arrivare per tempo negli aeroporti o nelle stazioni.

Per fortuna la banca è vicina e col bancomat posso prelevare quello che mi serve. La cassa automatica è riparata dal vento perché si trova all’interno di una stanza. Entro e inizio le manovre consuete finchè, un istante prima che l’apparecchio faccia il suo dovere, un black-out inchioda tutto e fa vacillare le luci. E’ cosa di un attimo, ma quanto basta perché io resti senza scheda e senza soldi a fissare una stupida scritta che mi invita a rivolgermi ad un funzionario all’interno della banca.

Ma la banca è chiusa, dannazione, guardo quanti soldi ho e mi rendo conto che 20 euro sono pochi per iniziare il viaggio. Li rimetto nervosamente nel portafogli ma finiscono nella patente nello scomparto accanto. Ormai sono preoccupato. Esco dal locale e ho la sensazione che ci sia qualcosa di strano nell’aria, forse il calo di corrente ha avuto qualche altro effetto di cui non mi rendo ben conto.

Cerco la macchina per andare da un amico a farmi prestare dei soldi ma non la trovo, chiudo gli occhi e inizio a creare nuove imprecazioni che per taluni possono essere splendidi mantra ma che nella realtà potrebbero uccidere chi li ascolta. Faccio due conti veloci guardando l’orologio e decido di andare a denunciare il furto dell’auto. Mi passa a fianco un autobus e io lo prendo al volo vista la loro rarità. Salgo sul retro e sono solo, cosa normalissima a quell’ora.

Il bus si mette a correre in maniera forsennata e vengo sballottato senza ritegno. Arranco verso l’autista per protestare pensando alle parole giuste da dire ma mi rendo conto che al posto di guida non c’è nessuno. Istintivamente mi metto al volante per fermare questa corsa folle e riesco a rallentare ma lo faccio proprio davanti ad una pattuglia della polizia che mi intima di fermarmi.

Salgono a bordo in due, mi chiedono i documenti guardandomi con sospetto perché non indosso la consueta divisa. Io consegno loro carta di identità e la patente e in quel momento mi rendo conto dei soldi rimasti dentro ma è troppo tardi. Uno dei due inizia a guardare i documenti e trovando i soldi mi chiede se è un tentativo di corruzione. Gli dico che sarebbe sciocco da parte mia farlo con 20 euro e mi incasino dicendo che non ho altro e quello la prende alla rovescia pensando che volessi offrire di più e mi dice di scendere dal bus e seguirlo per accertamenti.

Saliamo sulla volante e percorrendo mezza città entriamo in un edificio attraverso un passo carrabile. Scendiamo e mi portano in un ascensore che, invece di salire verso gli uffici, inizia a scendere. Piu’ scende e più sale l’ansia, ma la rapidità con la quale si svolgono le cose non mi dà tempo per pensare.

Dopo un’infinità di piani le porte si aprono su un corridoio dalla luce accecante dove tutti portano occhiali scuri e abiti neri, mi accorgo che gli agenti sono spariti e vengo accompagnato da un personaggio che sembra uscito da Blade Runner che mi fa accomodare in una stanza e mi lascia solo senza dire una parola. Una voce mi arriva dal nulla:

-         Si sieda.

Lo faccio e attendo all’infinito quando d’un tratto tutta una parete si apre lasciando spazio ad una vista mozzafiato sulla citta. Si, ma quale città? Ma non ero sceso sotto terra? Sento una voce accanto a me che mi dice:

-         Bella vista vero?

Mi guardo intorno e non vedo nulla tranne una penna sul tavolo e dalla quale sono convinto venga la voce. La prendo in mano per cercare l’altoparlante ma sento dire:

-         Ehi! Mettimi giù, ma che modi!

Per poco non la faccio cadere e l’afferro con delicatezza.

-         Ma ti sembra il modo di trattarmi?

Balbetto frasi sconnesse e fisso la penna pensando di aver oltrepassato il limite della ragione, forse l’ansia, lo stress. Lei mi dice:

-         Prenditela comoda che tanto il viaggio sarà lungo.

Con gesto automatico metto la penna nella tasca della giacca, chiudo gli occhi con la testa che gira e mi lascio andare sulla poltrona privo di forze e di volontà. Il panorama viene sostituito rapidamente dalle nuvole che sembrano sfrecciare veloci ma non avverto alcun movimento. Alla fine la parete si richiude giusto in tempo per far entrare nella stanza una di quelle strane persone inespressive che mi dice di uscire, ma forse me lo immagino perchè non vedo nessun movimento delle labbra.

Esco nel corridoio convinto di rifare la strada fatta all’andata, ma al posto del corridoio vedo che la porta si affaccia direttamente su un ufficio dove un’infinità di persone si muovono indaffarate. Mi viene incontro un uomo che stento a riconoscere ma poi con immenso stupore capisco che è il mio cliente di NY che con un sorriso mi dà il benvenuto augurandosi che abbia fatto buon viaggio e mi dice “Complimenti! Sempre puntuale!”

Mi accorgo di essere a NY nel suo ufficio e per poco le gambe non mi cedono. Mi volto indietro e mi accorgo di essere uscito dal solito ascensore che prendo ogni volta che vengo qui. Mi faccio forza e trascorro la giornata di lavoro come avevo previsto. La sera vengo accompagnato nel mio albergo che vedo come il paradiso dopo una sequenza di eventi impossibili che non ho ancora capito.

Piombo in un sonno spettacolare dal quale mi sveglio per colpa degli strepiti che provengono dalla mia giacca. Svegliarmi e vedere la stessa stanza della sera prima mi infonde sicurezza, ma subito ripiombo nella costernazione quando mi rendo conto che a gridare era la penna che distrattamente avevo portato con me.

-         Ma insomma, quanto ci metti a svegliarti! Preparati che dobbiamo andare!

La mia penna ha ragione. Ma come “la mia penna”! Ma sono diventato matto? Comunque sia ha ragione. Doccia, vestito e colazione abbondante. E ora? Cosa ci faccio qui senza un visto di ingresso? Se mi presento all’aeroporto mi arrestano. Decido di prendere la metro per andare in consolato mentre cerco una scusa plausibile da raccontare.

Scendo sotto terra e mi perdo nella folla trovando un posto libero che occupo per non essere travolto. Il vagone deve essere vecchio e le luci vanno e vengono. Dopo un black-out un pò più lungo degli altri il treno si ferma e la gente si muove. Avendo contato le fermate so che dovrò scendere molto più avanti e non faccio caso al movimento della gente.

Però quando il treno riparte mi accorgo di essere rimasto solo e la cosa, nella metro, non è mai una buona cosa. Mi alzo e cerco di guardare nei vagoni vicini, ma le luci sono spente. Mentre quelle della mia carrozza hanno ripreso il balletto di prima. Alla fine ci fermiamo in una stazione e io decido di scendere anche se so che non è la mia. Non mi fido a proseguire in quel modo.

Sul marciapiede mi blocco e inizio  ad avere uno dei mancamenti che ormai da un pò mi colgono di fronte all’impossibile. La stazione è quella di Piazza de Ferrari a Genova. Ho le gambe pesanti come piombo e mi sembra di non riuscire a camminare. Tutto intorno la gente si comporta normalmente, guardo l’ora e mi accorgo che sono le 9 e mezza. si, ma di che giorno? Compro un giornale per togliermi il dubbio e mi rendo conto così che sono passate solo 4 ore dal mio tentativo di prelievo.

Ora che ci penso. La banca è proprio sopra di me. Posso almeno recuperare il mio bancomat. Entro e mi rivolgo ad un funzionario spiegandogli cosa sia successo. Questo mi fa accomodare e dopo aver accertato che io sono l’effettivo proprietario della carta, me la riconsegna dicendomi di firmare la ricevuta.

Prendo istintivamente la penna che ho in tasca, firmo e mi accorgo di averlo fatto con quella che ho preso e portato con me. E’ un tuffo al cuore che mi ripiomba nell’incubo. La poso velocemente come volessi allontanare da me la follia ma il funzionario mi dice:

-         No no, la tenga pure signore ci fa piacere che i nostri clienti portino con se i nostri gadget!

Con un sospiro rimetto la penna in tasca ma per un istante che non scorderò mai, la sento ridere distintamente e dirmi:

- Felice che tu abbia viaggiato con Dream Travel!

lunedì 30 aprile 2012

Marlin

























Marlin è uno che viene da lontano. Ci siamo incontrati un giorno a tavola, invitati dallo stesso amico e trovati così, per caso, l’uno di fronte all’altro. Dopo un momento di silenzio ha iniziato a raccontare le storie dell’oceano: acque fredde, correnti vigorose e barche d’altura che salpano da Capoverde per affrontare il vento; uomini rudi avvezzi a manovrare legni, cime e reti. Il loro incontro è avvenuto a ridosso di Sào Nicolau appena oltre le secche in un primo pomeriggio assolato e solo a sera Marlin è salito a bordo con loro. Gli uomini esausti hanno poi acceso un fuoco con legni speciali, messi da parte per l’occasione e dai quali si è sprigionato un fumo denso e aromatico che ha avvolto e inebriato Marlin.

Ora, su questa tavola, si presenta rilassato,comodamente adagiato sul letto di cetrioli tagliati fini e irrorato d’olio di oliva di una terra a lui lontana. Ride di gusto quando uno spruzzo di limone lo investe e risponde spandendo un profumo dolceamaro che ricorda il ginepro. Tra poco tornerà a nuotare in una bianchetta genovese profumata e leggera.

martedì 24 aprile 2012

Ali per volare



Praga, un giorno di pioggia, l'Hard Rock Cafè a due passi e un'auto che catturava i sogni.

sabato 21 aprile 2012

martedì 17 aprile 2012

Cielo rosso













Il cielo si fece rosso, forse per la vergogna di avermi svegliato e distolto dal sogno, forse dalla rabbia per vedermi così indolente e indifferente ai suoi capricci, forse per l’imbarazzo provocato dalle mie fantasie.

sabato 14 aprile 2012

Tornando a casa














L’auto procedeva lentamente lungo la strada del centro, lasciandosi trasportare dal flusso del traffico dell’ora di punta quasi non avesse una meta precisa da raggiungere. All’interno i suoni della città arrivavano ovattati e indistinti, merito di un’accurata insonorizzazione e le luci che si stavano accendendo entravano filtrate attraverso i finestrini scuri.

-         Signora, non manca ancora molto. Nonostante il traffico saremo puntuali.

La voce del mio autista mi distoglie dai pensieri. Lo guardo e per un momento penso che forse nella prossima vita mi piacerebbe uno come lui, ma in questa temo che non ci sia più spazio per queste cose e lui potrebbe essere tranquillamente mio nipote.

-         Grazie Edward, ma non ho fretta di arrivare. Anzi, stavo pensando di andare prima in un altro posto, non ho proprio voglia di rivedere tutte quelle persone.
-         Quelle persone sono la sua famiglia e lei le ha riunite stasera perché è il suo compleanno. Forse non apprezzerebbero di essere messe da parte così.

Edward sta diventando la mia coscienza, ma stasera mi sento più forte di lui e non voglio più seguire i suoi saggi consigli pieni di buon senso. In fondo ho vissuto io con quelle persone, mica lui!

-         Prendi la Madison e portami da Via Quadronno e non badare  ai miei parenti: staranno già facendo festa da soli e neanche si accorgerannno che non sono tra loro.

Arriviamo all’incrocio con la 73a e svoltiamo. A quell’ora ci sono poche persone e poche auto intorno al locale, la gente si farà vedere molto più tardi e così posso occupare il solito tavolo un po’ riparato ai margini della sala. D’incanto compare dal nulla Antonio che mi si avvicina e mi aiuta a sedermi.

-         Grazie Antonio, ho novanta anni ma so ancora come ci si siede ad un tavolo.

Antonio, come al solito, non mi dà retta e mi aiuta ad avvicinarmi al tavolo e poi si siede vicino come ormai fa tutte le volte che lo vengo a trovare nel suo nuovo locale. Mi guarda e capisce che questa sera c’è qualcosa di diverso nei miei occhi, forse un velo di stanchezza o di tristezza. Fa un gesto a un cameriere che dopo poco arriva con una bottiglia di vino e due bicchieri.

-         Sapevo che saresti passata a trovarmi e ho stappato questa bottiglia per fartela trovare alla temperatura adatta con il vino al giusto respiro. Ora però mi devi raccontare di te e di questa sera particolare.

-         Stasera, per la prima volta ho paura di tornare a casa. La mia vita è stata sempre un’eterna partenza e anche le volte in cui passavo da casa tra un impegno e l’altro, non ho mai vissuto la cosa come un ritorno ma un passaggio, una tappa qualsiasi, tanto ero presa dal domani.

Stasera invece sono alle prese con un ritorno. Domani non ci sarà una nuova partenza, ho novanta anni e fino a questa sera me ne sono sentiti addosso la metà. Saranno i parenti che mi attendono ad alimentare questa nuova ansia, ma proprio quel luogo non riesco a considerarlo casa.

-         La mia casa è sempre stata con me; ovunque andassi, se riuscivo a stare bene con me stessa, allora ero a casa; mi sento più a casa qui con te che nella mia abitazione in mezzo alla famiglia.

Antonio mi versa un altro pò di vino: delizioso. Non me ne andrei più; tra tutti gli amici che ho nel mondo lui è quello che più sa ascoltare i miei momenti di sfogo e anche questa sera non è da meno, dimostrando di conoscermi bene.

Quando siamo all’incirca a metà bottiglia entra adagio un ragazzo che si guarda intorno come avesse sbagliato strada e non fosse convinto di quello che fa. Chiusa la porta finalmente ci vede e si dirige dalla nostra parte mantenendo ancora quell’aria incerta che hanno i ragazzi quando non sanno bene come verranno accolti.

-         Nonna, sei qui!

Perspicace il ragazzino. Ma non voglio riversare le mie amarezze su di lui anzi, il suo arrivo mi strappa un sorriso che non passa inosservato ad Antonio. E come d’incanto spunta un terzo bicchiere.

-         Vieni qui ragazzo, questa sera avrai l’occasione di assaggiare una delle cose più buone della terra.

Detto questo, versa adagio un pò di vino e lo porge a mio nipote Matteo che, incerto, mi guarda per capire cosa stesse succedendo. Io gli dico con gli occhi di assaggiare e lui non se lo fa ripetere due volte. A tavola mi ha sempre dato grandi soddisfazioni e anche questa volta lo vedo interessato.

-         Allora, come ti sembra?
-         Niente male, mi piace, forse un po’ forte, a me piacciono freschi e frizzanti…

Antonio gli lancia un’occhiataccia come se avesse bestemmiato e in effetti, parlare così davanti a una bottiglia di Sassicaia del 2004, annata spettacolare, si rischia il linciaggio.

-         Non temere Antonio, coltiverò in lui anche il piacere del vino, dammi tempo.

Improvvisamente sono presa da un attacco di buon umore, vedendo Antonio imbronciato, mio nipote un po’ interdetto e al pensiero che io, novantenne, abbia detto “dammi tempo”. Però ora guardo Matteo per cercare di capire la sua presenza qui. Lui capisce la domanda silenziosa e mi dice:

-         Non brontolare Edward, lo sai che siamo amici. Quando ti ha fatto scendere qui mi ha chiamato per dire dove ti avesse accompagnata e così ho deciso di venirti incontro. E’ ora di andare a casa, vieni.

-         Io non torno a casa Matteo. Non ho una casa, non so neanche io dove vorrei essere ma questo ritorno non fa per me.

-         Nonna, non sei tu che torni a casa, ma siamo noi che ci sentiamo a casa quando siamo insieme a te. Non so cosa si provi alla tua età, ma forse tu hai scordato cosa si prova alla nostra.

Si alza e mi porge la mano come per invitarmi a ballare. Mi alzo anch’io trattenendo una lacrima e capendo che mio nipote non è più un ragazzino ma una persona che ha capito bene i valori che gli ho insegnato. Lo seguo verso l’uscita, accompagnata dallo sguardo compiaciuto di Antonio mentre Edward ci apre lo sportello dell’auto. Forse ci sono molti modi di tornare a casa e non tutti riusciamo a vederli da soli.


domenica 1 aprile 2012

Stasera mi butto



Certe sere non dovrebbero mai arrivare e invece te le trovi davanti che reclamano prepotentemente tutta la tua attenzione, ti svuotano la mente e ti precipitano nell’unico pensiero di cui sono capaci. Stasera è uno di questi momenti e non posso sottrarmi dicendo che certe cose capitano solo agli altri esorcizzando così la paura che capitino proprio a me.

Mi rendo conto del momento, ho provato a negarlo per un istante ma poi ho capito che ogni resistenza sarebbe stata vana e ho iniziato a pensare. Pensieri cupi che avevo sempre scacciato si sono così scatenati liberamente ormai liberi dai miei meccanismi di difesa, i ricordi delle mie mille paure si sono fatti vividi facendo a gara per impressionarmi e attanagliarmi il cuore.

E’ passato così un tempo indefinibile in cui mi sono lasciato andare e mi sono fatto fare di tutto dal lato più opaco della mia mente finchè ho dovuto, voluto fare qualcosa per spezzare il vortice in cui ero precipitato. Probabilmente sarò rimasto colpito dai discorsi fatti con gli amici nel pomeriggio e a cui credevo di essere immune (certe cose capitano solo agli altri)  ma da quel momento mi sono trasformato e ora devo fare qualcosa.

Ormai è sera, non ancora buio ma lo sarà presto. Prendo l’auto ed esco velocemente dalla città puntando verso monte guidato da un’idea che si rafforza sempre più mentre mi inerpico in salita. Ormai so cosa devo fare, quale è la mi sorte. Lascio la macchina in una piazzola prima di una curva e scendo facendo un sospiro come a gustarmi quell’attimo in sospeso.

Mi dirigo verso la curva a passo lento ma sicuro, la supero e davanti a me, nell’imbrunire, si staglia il piccolo ponte dalle spallette di pietra, stretto al punto da consentire il passaggio di un solo mezzo per volta, ma talmente alto per chi guardasse giù da mettere le vertigini.

Solo un piccolo indugio e poi mi dirigo verso il centro della campata e mi sporgo per guardare il nulla. Rabbrividisco per i miei pensieri e per l’aria insidiosa che scende attraverso la gola. Il sole è tramontato e non ho più scuse per rinviare la mia decisione.

Mentre sono assorto in questi pensieri dolorosi, sento una voce che dalla parte opposta dalla quale sono arrivato mi dice:

-                     E così ti sei deciso a farlo.

Rabbrividisco ancora di più, vorrei non aver sentito quella voce, vorrei che la persona che ha pronunciato quelle parole fosse a miglia di distanza, vorrei scappare io, vorrei…

-                     Non pensavo che alla fine volessi veramente farlo, ma oggi ti ho visto diverso e per fortuna la mia coscienza mi ha fatto venire fin quassù. Cosa pensavi di fare da solo?

Lo guardo e mi rendo conto che Giacomo ha ragione. Ormai siamo vicini e senza parlare iniziamo i preparativi. Lui con fare esperto ancora l’attrezzatura mentre io prendo le misure delle corde e controllo gli agganci. Alla fine, quando ci sembra tutto a posto, salgo in piedi sulla spalletta del ponte e respiro.

E’ un momento di silenzio, fisso un puntino all’orizzonte verso mare dove ancora il chiarore del sole si fa vedere e, lentamente mi sporgo iniziando una lunga, infinita, inebriante, tremenda discesa verso le mie paure.

Il tempo si dilata, sembra non trascorrere, sono sopraffatto dall’angoscia pensando di aver superato il punto di non ritorno. Poi, quando ormai sento distintamente lo scrosciare del torrente, una mano mi afferra le caviglie e il contraccolpo mi sconquassa il corpo, mi frastona, perdo il senso di orientamento, non esiste più alto o basso né una direzione chiara. Mi accorgo che ho trattenuto il fiato per un tempo infinito, mi manca l’aria, i polmoni bruciano ma questa sensazione mi piace, mi fa sentire vivo e più passa il tempo più divento euforico fino alle lacrime.

Quando il mio svolazzare scomposto si placa, mi sento calare adagio fino ad essere accolto da cento mani che mi sorreggono, mi rivoltano dando un senso alla mia geometria, sorreggendomi in piedi ancora incapace di stare al mondo senza aiuto. Sono i miei amici che al momento giusto sono usciti allo scoperto e hanno completato l’opera iniziata molti anni fa quando da giovani e spavaldi sfidavamo così il mondo e le nostre paure finchè il trauma ha avvelenato la mia anima e l’esistenza di molti anni.

Piango mentre loro ridono felici e mi aiutano a risalire il sentiero fino a riunirci con Giacomo che ormai ha recuperato l’attrezzatura. Torniamo verso la città tutti insieme, io non riesco a guidare ma qualcuno lo fa per me. Stasera, da stasera sono un’altra persona e questo gli amici lo sanno e fanno festa a modo loro.

Io non sono agitato come loro, una grande pace mi ha preso e, mentre sorrido in compagnia, mi metto a canticchiare tra me e me una vecchia canzone di Rocky Roberts.

giovedì 23 febbraio 2012

All’ombra dell’ibisco










Era un pomeriggio inoltrato di metà primavera ma l’aria stentava a scaldarsi nonostante il bel tempo degli ultimi giorni e il sole riusciva ad infiltrarsi attraverso la volta della Gare de Lyon. Un treno aspettava in quieta attesa mentre gli ultimi passeggeri salivano sulle varie carrozze. Paul era arrivato per tempo riuscendo a sistemare il suo voluminoso bagaglio nello scompartimento. Era una persona avvezza ai viaggi e questo verso sud non lo colpiva particolarmente; attendeva così, rilassato, la partenza del convoglio che lo avrebbe portato a Marsiglia.

Nel frattempo si crea un pò di trambusto lungo il marciapiede dove un giovane avanzava con passo frettoloso, agitando un braccio per incitare un facchino alle prese con il proprio carretto carico di masserizie. Finalmente giunge a fianco della carrozza dove sale con evidente sollievo, seguito dal facchino con i suoi bagagli. Percorre il corridoio con il biglietto in mano cercando lo scompartimento a lui assegnato e, arrivato di fronte a quello di Paul, vi si infila risoluto lanciando un breve saluto di circostanza essendo in evidente carenza di ossigeno per la corsa appena fatta.

Dopo  qualche istante il treno inizia a  muoversi e un’espressione di sollievo si dipinge sui volti di Paul e del nuovo arrivato. Il primo inizia a curiosare tra i bagagli e il suo occhio attento individua un particolare a lui familiare:

-         Siete un pittore?

Il ragazzo inizialmente si stupisce della domanda ma poi segue con l’occhio lo sguardo del vicino che si posa sul suo cavalletto e così capisce.

-         E’ un cavalletto, si, ma non sono un pittore ma un fotografo e quella è una parte della mia attrezzatura.

Istintivamente Paul storce il naso cercando però di non farsi notare ma inutilmente perché l’altro, sempre attento, si è accorto del cambio di umore del più anziano compagno di viaggio.

-         Mi dovete scusare, ma non apprezzo questa nuova moda della fotografia con cui si fa scempio delle immagini senza che il cuore di un artista ne abbia guidato l’opera. Solo una persona dedita da una vita alla sacra arte può cogliere l’anima delle cose e trasporla su una tela. Le vostre sono solo diavolerie moderne che, passata la moda, verranno velocemente dimenticate.
-         Suvvia signore, non dite così, ormai viviamo in tempi moderni, siamo nel 1891, ma non avete visto le meraviglie dell’esposizione universale!
-         Sarà come dite voi, ma non ho ancora visto qualcosa che possa lontanamente essere paragonato ad un dipinto dove la natura si mescola ai sentimenti del pittore che sa coglierne l’essenza.

Detto questo i due, che non si erano neanche presentati, tornano ai rispettivi pensieri immaginando di non avere nulla da spartire con l’altro né per l’età (uno sembra avere il doppio degli anni dell’altro) né per interessi.

-         Nonno, ma allora come hanno fatto a conoscersi se non si parlavano!
-         Aspetta, aspetta, il viaggio è appena iniziato e durerà veramente tanto. Ci saranno altre occasioni, vedrai.

Io guardo mio nonno e pendo dalle sue labbra. I suoi racconti mi entusiasmano sempre e quando la domenica lo vado a trovare spero sempre che sia in vena di narrarmi qualcosa di nuovo. Questa volta devo averlo punto nel vivo perché quando sono corso da lui con una foto e un disegno, dopo aver rovistato come sempre tra le sue cose, mi ha accolto con uno sguardo allarmato. Sia la foto sia il disegno rappresentavano lo stesso soggetto e mi sembravano entrambi molto vecchi.

Il nonno me li prende dalle mani con estrema delicatezza e li posa sul tavolo, li guarda per un po’ rimanendo sopra pensiero e poi mi dice:

-         Ora ti racconto una storia.

Non aspettavo altro che sentire quelle parole, così prendo una sedia e mi ci accoccolo sopra in attesa di ascoltare il nonno.

Dopo infinite fermate il treno arriva a Marsiglia e i due, trovati altrettanti facchini, scendono dal treno e si perdono di vista dopo un breve e formale saluto di circostanza. Dopo un breve percorso su un’auto pubblica, Paul arriva al porto vicino allo scalandrone della nave. Si accorda per far portare a bordo le proprie cose e poi si avvia sulla passerella.

Riesce ad arrivare sull’ultimo gradino quando nota un’altra vettura, carica all’inverosimile, che si avvicina alla scaletta. Lo coglie un presentimento che diventa certezza quando vede l’attrezzatura sul portapacchi e il suo compagno di viaggio scendere dall’auto senza abbandonare quell’aria agitata che ha contraddistinto la sua salita sul treno. Sembra che ogni spostamento crei in lui uno stato di ansia che contagia chiunque lo circondi.

Ormai rassegnato, Paul si ferma ad aspettare il collega che non tarda a raggiungerlo sul ponte della nave.

-         Immagino che faremo un pò di strada insieme, tanto vale presentarci. Mi chiamo Paul.
-         Piacere, Andrea anzi, come dite da queste parti, André.
-         Piacere, André, dove siete diretto?
-         Vado in Polinesia a fare fotografie, sarò il primo fotografo a visitare quei posti, scriverò libri, allestirò mostre e tutti vorranno vedere cosa si può fare con i nuovi miracoli della tecnica!

A quel punto Paul ha un sussulto ma questa volta, sarà per la complicità del buio, la reazione non viene colta da Andrè che, ancora eccitato per la partenza, continua a guardarsi intorno spaesato.

-         Anche io vado in Polinesia, ma ci vado per dipingere qualcosa che nessuno ha ancora avuto modo di conoscere, una natura incontaminata, lontana dalla nuova civiltà. Sarà un’esperienza unica.

Dette queste cose, si avvicinano loro gli inservienti di bordo che li accompagnano alle rispettive cabine. Ormai il viaggio vero è iniziato e sarebbe durato oltre due mesi in cui la nave avrebbe fatto  scalo a Bombay, circumnaviganto il sud dell’Australia e, dopo una sosta ad Auckland, finalmente sarebbe giunta a Papeete.

-         Nonno, ma eri tu? Si chiama Andrea come te!
-         No, no quell’Andrea era mio padre, il tuo bisnonno. Uno dei primi fotografi. Da Genova si era trasferito a Parigi dove aveva trovato il modo di imparare la nuova tecnica. Ora per te la fotografia è cosa da tutti i giorni, ma a quell’epoca era una grande novità e lui era riuscito a procurarsi uno dei primi apparecchi portatili.
-         Ma non potevano prendere un aereo, come si fa a stare due mesi su una nave!
-         Non esistevano ancora gli aerei e i viaggi duravano veramente tanto!

Due mesi trascorsi in nave sono almeno serviti per ammorbidire il carattere dei viaggiatori che alla fine, se non proprio amici, hanno iniziato a trovare piacevole la reciproca compagnia. A Papeete i due sono accolti da un’aria calda, profumata di ibisco e di gardenie, ad attenderli trovano gente sorridente, così in contrasto con il fervore modernista di Parigi. Si salutano sul pontile e si augurano di rivedersi durante il loro soggiorno sull’isola.

Mentre Paul va a sud André si sposta a Nuuna sull’isola vicina dove viene accolto da Moeata. Il suo nome significa “Nuvola addormentata nel cielo” e gli fa vedere la capanna dove alloggerà. E’ una sistemazione angusta, una sola stanza, ma si affaccia direttamente sulla spiaggia al tramonto. Lo spettacolo è bello da piangere e lui per riposarsi dal viaggio si crogiola in una natura fatta di sabbia chiara, mare cristallino e piante profumate di ibisco che corrono da dietro la capanna fino alla piccola strada che percorre circolarmente tutta l’isola.

Nei giorni successivi inizia a spostarsi da un villaggio all’altro, sempre a piedi viste le distanze limitate, accompagnato a turno da una delle figlie di Moeata, la minore, Areiti “Piccola onda del calmo mare” e la grande Arenui “La grande onda del profondo Oceano”. Le ragazze, quando non sono impegnate ad accompagnarlo, confezionano ghirlande di Tiarè da mandare a Papeete e la loro casa è sempre meravigliosamente profumata.

Gli scatti si fanno sempre più numerosi visto che non c’è angolo di quel paradiso che non ispiri un’immagine e la voglia di portarlo con se. Se la fotografia cattura l’anima delle persone dovrebbe farlo anche con quella dei luoghi e ogni scatto dovrebbe contenerne una piccola quantità. Questa poi dovrebbe riversarsi su chi osserverà l’immagine, così precisa, piena di particolari e di profondità che nessuna pittura può eguagliare.

Però, in quel luogo di colori, Andrè inizia a considerare il punto di vista di Paul. Le immagini in bianco e nero prodotte dalla sua attrezzatura non possono cogliere la bellezza di quei colori che invece fanno splendida mostra di sé sulle tele del pittore. Uno ha in mano la precisione mentre l’altro può cogliere l’atmosfera; uno congela la realtà ma l’altro coglie il senso delle cose. Quale preferire?

Dopo un anno si incontrano a Papeete dove entrambi si recano per inviare a Parigi il proprio lavoro; lì passano alcuni giorni in cui Paul produce alcuni disegni del posto e Andrè scatta foto ai medesimi soggetti. Andrè torna così a Parigi e Paul come ricordo della loro permanenza sull’isola gli regala uno degli ultimi disegni. Sarà il loro ultimo incontro.

Il nonno termina il racconto e prende in mano la vecchia foto in bianco e nero e il disegno e me li porge perché, ora che conosco la storia, possa guardarli con altri occhi. La fotografia è vecchia, stampata su una carta opaca e l’immagine è stinta mentre il disegno, tracciato a matita su una carta lievemente ingiallita, resta nitido e la giovane donna ritratta risalta nella sua bellezza.

Volto entrambe le carte e mentre sulla foto c’è solo la scritta “Papeete 1892”, sul retro del disegno c’è una dedica:

Avec affection à mon amie André
Paul Gauguin.