domenica 1 aprile 2012

Stasera mi butto



Certe sere non dovrebbero mai arrivare e invece te le trovi davanti che reclamano prepotentemente tutta la tua attenzione, ti svuotano la mente e ti precipitano nell’unico pensiero di cui sono capaci. Stasera è uno di questi momenti e non posso sottrarmi dicendo che certe cose capitano solo agli altri esorcizzando così la paura che capitino proprio a me.

Mi rendo conto del momento, ho provato a negarlo per un istante ma poi ho capito che ogni resistenza sarebbe stata vana e ho iniziato a pensare. Pensieri cupi che avevo sempre scacciato si sono così scatenati liberamente ormai liberi dai miei meccanismi di difesa, i ricordi delle mie mille paure si sono fatti vividi facendo a gara per impressionarmi e attanagliarmi il cuore.

E’ passato così un tempo indefinibile in cui mi sono lasciato andare e mi sono fatto fare di tutto dal lato più opaco della mia mente finchè ho dovuto, voluto fare qualcosa per spezzare il vortice in cui ero precipitato. Probabilmente sarò rimasto colpito dai discorsi fatti con gli amici nel pomeriggio e a cui credevo di essere immune (certe cose capitano solo agli altri)  ma da quel momento mi sono trasformato e ora devo fare qualcosa.

Ormai è sera, non ancora buio ma lo sarà presto. Prendo l’auto ed esco velocemente dalla città puntando verso monte guidato da un’idea che si rafforza sempre più mentre mi inerpico in salita. Ormai so cosa devo fare, quale è la mi sorte. Lascio la macchina in una piazzola prima di una curva e scendo facendo un sospiro come a gustarmi quell’attimo in sospeso.

Mi dirigo verso la curva a passo lento ma sicuro, la supero e davanti a me, nell’imbrunire, si staglia il piccolo ponte dalle spallette di pietra, stretto al punto da consentire il passaggio di un solo mezzo per volta, ma talmente alto per chi guardasse giù da mettere le vertigini.

Solo un piccolo indugio e poi mi dirigo verso il centro della campata e mi sporgo per guardare il nulla. Rabbrividisco per i miei pensieri e per l’aria insidiosa che scende attraverso la gola. Il sole è tramontato e non ho più scuse per rinviare la mia decisione.

Mentre sono assorto in questi pensieri dolorosi, sento una voce che dalla parte opposta dalla quale sono arrivato mi dice:

-                     E così ti sei deciso a farlo.

Rabbrividisco ancora di più, vorrei non aver sentito quella voce, vorrei che la persona che ha pronunciato quelle parole fosse a miglia di distanza, vorrei scappare io, vorrei…

-                     Non pensavo che alla fine volessi veramente farlo, ma oggi ti ho visto diverso e per fortuna la mia coscienza mi ha fatto venire fin quassù. Cosa pensavi di fare da solo?

Lo guardo e mi rendo conto che Giacomo ha ragione. Ormai siamo vicini e senza parlare iniziamo i preparativi. Lui con fare esperto ancora l’attrezzatura mentre io prendo le misure delle corde e controllo gli agganci. Alla fine, quando ci sembra tutto a posto, salgo in piedi sulla spalletta del ponte e respiro.

E’ un momento di silenzio, fisso un puntino all’orizzonte verso mare dove ancora il chiarore del sole si fa vedere e, lentamente mi sporgo iniziando una lunga, infinita, inebriante, tremenda discesa verso le mie paure.

Il tempo si dilata, sembra non trascorrere, sono sopraffatto dall’angoscia pensando di aver superato il punto di non ritorno. Poi, quando ormai sento distintamente lo scrosciare del torrente, una mano mi afferra le caviglie e il contraccolpo mi sconquassa il corpo, mi frastona, perdo il senso di orientamento, non esiste più alto o basso né una direzione chiara. Mi accorgo che ho trattenuto il fiato per un tempo infinito, mi manca l’aria, i polmoni bruciano ma questa sensazione mi piace, mi fa sentire vivo e più passa il tempo più divento euforico fino alle lacrime.

Quando il mio svolazzare scomposto si placa, mi sento calare adagio fino ad essere accolto da cento mani che mi sorreggono, mi rivoltano dando un senso alla mia geometria, sorreggendomi in piedi ancora incapace di stare al mondo senza aiuto. Sono i miei amici che al momento giusto sono usciti allo scoperto e hanno completato l’opera iniziata molti anni fa quando da giovani e spavaldi sfidavamo così il mondo e le nostre paure finchè il trauma ha avvelenato la mia anima e l’esistenza di molti anni.

Piango mentre loro ridono felici e mi aiutano a risalire il sentiero fino a riunirci con Giacomo che ormai ha recuperato l’attrezzatura. Torniamo verso la città tutti insieme, io non riesco a guidare ma qualcuno lo fa per me. Stasera, da stasera sono un’altra persona e questo gli amici lo sanno e fanno festa a modo loro.

Io non sono agitato come loro, una grande pace mi ha preso e, mentre sorrido in compagnia, mi metto a canticchiare tra me e me una vecchia canzone di Rocky Roberts.

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