mercoledì 9 maggio 2012

Reazione a catena




Non sopporto l’idea di alzarmi presto per uscire in inverno, ma questa cosa la devo proprio fare e mi devo fare forza. Sono le 5:30, tra un’ora ho il volo per Londra da dove proseguirò per New York dove ho un appuntamento di lavoro. Gli aerei viaggiano sempre, incuranti degli orari e così io mi trovo in pieno centro ad essere tagliato a fette da una tramontana che non perdona.

Nei giorni scorsi ho pensato a tutto ma non ai soldi per il taxi per l’aeroporto. Sono innervosito da questa distrazione, sarà l’età o i mille pensieri. Rischio di perdere il volo e se c’è una cosa che mi mette ansia al mondo è quella di non arrivare per tempo negli aeroporti o nelle stazioni.

Per fortuna la banca è vicina e col bancomat posso prelevare quello che mi serve. La cassa automatica è riparata dal vento perché si trova all’interno di una stanza. Entro e inizio le manovre consuete finchè, un istante prima che l’apparecchio faccia il suo dovere, un black-out inchioda tutto e fa vacillare le luci. E’ cosa di un attimo, ma quanto basta perché io resti senza scheda e senza soldi a fissare una stupida scritta che mi invita a rivolgermi ad un funzionario all’interno della banca.

Ma la banca è chiusa, dannazione, guardo quanti soldi ho e mi rendo conto che 20 euro sono pochi per iniziare il viaggio. Li rimetto nervosamente nel portafogli ma finiscono nella patente nello scomparto accanto. Ormai sono preoccupato. Esco dal locale e ho la sensazione che ci sia qualcosa di strano nell’aria, forse il calo di corrente ha avuto qualche altro effetto di cui non mi rendo ben conto.

Cerco la macchina per andare da un amico a farmi prestare dei soldi ma non la trovo, chiudo gli occhi e inizio a creare nuove imprecazioni che per taluni possono essere splendidi mantra ma che nella realtà potrebbero uccidere chi li ascolta. Faccio due conti veloci guardando l’orologio e decido di andare a denunciare il furto dell’auto. Mi passa a fianco un autobus e io lo prendo al volo vista la loro rarità. Salgo sul retro e sono solo, cosa normalissima a quell’ora.

Il bus si mette a correre in maniera forsennata e vengo sballottato senza ritegno. Arranco verso l’autista per protestare pensando alle parole giuste da dire ma mi rendo conto che al posto di guida non c’è nessuno. Istintivamente mi metto al volante per fermare questa corsa folle e riesco a rallentare ma lo faccio proprio davanti ad una pattuglia della polizia che mi intima di fermarmi.

Salgono a bordo in due, mi chiedono i documenti guardandomi con sospetto perché non indosso la consueta divisa. Io consegno loro carta di identità e la patente e in quel momento mi rendo conto dei soldi rimasti dentro ma è troppo tardi. Uno dei due inizia a guardare i documenti e trovando i soldi mi chiede se è un tentativo di corruzione. Gli dico che sarebbe sciocco da parte mia farlo con 20 euro e mi incasino dicendo che non ho altro e quello la prende alla rovescia pensando che volessi offrire di più e mi dice di scendere dal bus e seguirlo per accertamenti.

Saliamo sulla volante e percorrendo mezza città entriamo in un edificio attraverso un passo carrabile. Scendiamo e mi portano in un ascensore che, invece di salire verso gli uffici, inizia a scendere. Piu’ scende e più sale l’ansia, ma la rapidità con la quale si svolgono le cose non mi dà tempo per pensare.

Dopo un’infinità di piani le porte si aprono su un corridoio dalla luce accecante dove tutti portano occhiali scuri e abiti neri, mi accorgo che gli agenti sono spariti e vengo accompagnato da un personaggio che sembra uscito da Blade Runner che mi fa accomodare in una stanza e mi lascia solo senza dire una parola. Una voce mi arriva dal nulla:

-         Si sieda.

Lo faccio e attendo all’infinito quando d’un tratto tutta una parete si apre lasciando spazio ad una vista mozzafiato sulla citta. Si, ma quale città? Ma non ero sceso sotto terra? Sento una voce accanto a me che mi dice:

-         Bella vista vero?

Mi guardo intorno e non vedo nulla tranne una penna sul tavolo e dalla quale sono convinto venga la voce. La prendo in mano per cercare l’altoparlante ma sento dire:

-         Ehi! Mettimi giù, ma che modi!

Per poco non la faccio cadere e l’afferro con delicatezza.

-         Ma ti sembra il modo di trattarmi?

Balbetto frasi sconnesse e fisso la penna pensando di aver oltrepassato il limite della ragione, forse l’ansia, lo stress. Lei mi dice:

-         Prenditela comoda che tanto il viaggio sarà lungo.

Con gesto automatico metto la penna nella tasca della giacca, chiudo gli occhi con la testa che gira e mi lascio andare sulla poltrona privo di forze e di volontà. Il panorama viene sostituito rapidamente dalle nuvole che sembrano sfrecciare veloci ma non avverto alcun movimento. Alla fine la parete si richiude giusto in tempo per far entrare nella stanza una di quelle strane persone inespressive che mi dice di uscire, ma forse me lo immagino perchè non vedo nessun movimento delle labbra.

Esco nel corridoio convinto di rifare la strada fatta all’andata, ma al posto del corridoio vedo che la porta si affaccia direttamente su un ufficio dove un’infinità di persone si muovono indaffarate. Mi viene incontro un uomo che stento a riconoscere ma poi con immenso stupore capisco che è il mio cliente di NY che con un sorriso mi dà il benvenuto augurandosi che abbia fatto buon viaggio e mi dice “Complimenti! Sempre puntuale!”

Mi accorgo di essere a NY nel suo ufficio e per poco le gambe non mi cedono. Mi volto indietro e mi accorgo di essere uscito dal solito ascensore che prendo ogni volta che vengo qui. Mi faccio forza e trascorro la giornata di lavoro come avevo previsto. La sera vengo accompagnato nel mio albergo che vedo come il paradiso dopo una sequenza di eventi impossibili che non ho ancora capito.

Piombo in un sonno spettacolare dal quale mi sveglio per colpa degli strepiti che provengono dalla mia giacca. Svegliarmi e vedere la stessa stanza della sera prima mi infonde sicurezza, ma subito ripiombo nella costernazione quando mi rendo conto che a gridare era la penna che distrattamente avevo portato con me.

-         Ma insomma, quanto ci metti a svegliarti! Preparati che dobbiamo andare!

La mia penna ha ragione. Ma come “la mia penna”! Ma sono diventato matto? Comunque sia ha ragione. Doccia, vestito e colazione abbondante. E ora? Cosa ci faccio qui senza un visto di ingresso? Se mi presento all’aeroporto mi arrestano. Decido di prendere la metro per andare in consolato mentre cerco una scusa plausibile da raccontare.

Scendo sotto terra e mi perdo nella folla trovando un posto libero che occupo per non essere travolto. Il vagone deve essere vecchio e le luci vanno e vengono. Dopo un black-out un pò più lungo degli altri il treno si ferma e la gente si muove. Avendo contato le fermate so che dovrò scendere molto più avanti e non faccio caso al movimento della gente.

Però quando il treno riparte mi accorgo di essere rimasto solo e la cosa, nella metro, non è mai una buona cosa. Mi alzo e cerco di guardare nei vagoni vicini, ma le luci sono spente. Mentre quelle della mia carrozza hanno ripreso il balletto di prima. Alla fine ci fermiamo in una stazione e io decido di scendere anche se so che non è la mia. Non mi fido a proseguire in quel modo.

Sul marciapiede mi blocco e inizio  ad avere uno dei mancamenti che ormai da un pò mi colgono di fronte all’impossibile. La stazione è quella di Piazza de Ferrari a Genova. Ho le gambe pesanti come piombo e mi sembra di non riuscire a camminare. Tutto intorno la gente si comporta normalmente, guardo l’ora e mi accorgo che sono le 9 e mezza. si, ma di che giorno? Compro un giornale per togliermi il dubbio e mi rendo conto così che sono passate solo 4 ore dal mio tentativo di prelievo.

Ora che ci penso. La banca è proprio sopra di me. Posso almeno recuperare il mio bancomat. Entro e mi rivolgo ad un funzionario spiegandogli cosa sia successo. Questo mi fa accomodare e dopo aver accertato che io sono l’effettivo proprietario della carta, me la riconsegna dicendomi di firmare la ricevuta.

Prendo istintivamente la penna che ho in tasca, firmo e mi accorgo di averlo fatto con quella che ho preso e portato con me. E’ un tuffo al cuore che mi ripiomba nell’incubo. La poso velocemente come volessi allontanare da me la follia ma il funzionario mi dice:

-         No no, la tenga pure signore ci fa piacere che i nostri clienti portino con se i nostri gadget!

Con un sospiro rimetto la penna in tasca ma per un istante che non scorderò mai, la sento ridere distintamente e dirmi:

- Felice che tu abbia viaggiato con Dream Travel!

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