martedì 29 maggio 2012

Il bicchiere di cristallo



















Il bicchiere quasi stenta a ricordare le sue antiche origini. Sarà l’età o i continui lavaggi con sostanze che non esistevano ancora alla sua nascita o le mille avventure vissute attraverso il suo secolo di vita. Ora se ne sta quietamente riposto in una credenza da cucina, una sistemazione poco nobile se si pensa ai fasti cui era abituato da giovane.

Lui e i suoi fratelli provenivano da una delle migliori cristallerie di Francia, forse dalle Cristallerie Reali della Champagne, forse da Baccarat ma l’origine non era importante quanto la famiglia nella quale lui e i suoi gemelli hanno iniziato una sfavillante e tintinnante carriera.

Ricorda ancora il primo incontro da brivido con le bollicine fresche e il tocco delicato delle labbra della ragazza cui era toccato in sorte. Da giovane si divertiva con i fratelli emettendo suoni felici ad ogni incontro e riflettendo la propria allegria insieme alle luci della sala.

Poi, col tempo e la maturità, iniziarono i momenti meno fastosi, poco per volta i fratelli scomparvero  alla sua vista, le occasioni mondane cui era invitato si fecero meno frequenti e per lui, passato indenne attraverso un turbine di vita, iniziò un periodo quieto, animato solo dalle poche feste tradizionali.

Un brivido lo percorre ancora oggi al ricordo di un ragazzino, al quale avevano insegnato a far suonare i bicchieri, che lo aveva quasi frantumato cercando di estrarne un suono. Alla fine, unico rimasto della sua famiglia, finì insieme ad altri vetri plebei scompagnati in un angolo della cucina da dove uscì per ritrovarsi un giorno esposto su una bancarella di oggetti vecchi che nessuno voleva più.

Il suo destino sembrava ormai segnato e già si vedeva sballottato da una fiera all’altra, esposto senza cura né riguardo su vecchie assi di legno. Un giorno però un signore dall’aria sognante incontrò un suo luccichio e incuriosito si avvicinò per osservare meglio quella fonte di luce inattesa.

Allungò una mano e lo prese. Dopo un tempo che neanche lui riusciva a ricordare, il bicchiere provò il tocco di una persona gentile che lo sapeva apprezzare e non si vergognò di apparire così dimesso e impolverato perché negli occhi di quella persona vedeva accendersi una luce particolare.

Il signore, un vecchio cuoco, rimase un momento sopra pensiero, stupito di vedere un oggetto di cristallo così raffinato in mezzo a tanto ciarpame e lo guardò con gli occhi resi competenti da una vita a contatto con le cose belle.

Fu cosa di un momento, il bicchiere incartato frettolosamente da un commerciante che mai ne ha conosciuto il pregio finì nelle mani del signore che lo ripose delicatamente nella borsa. Insieme arrivarono a casa dove il cristallo, dopo un delicato ma approfondito lavaggio, per far bella figura iniziò a brillare come mai aveva fatto.

Sempre giocando con la luce osservò il vecchio mentre impastava una sfoglia sottile e profumata di uova, lo vide stenderla con una cura e un’abilità che rasenta la danza, annusando la terrina contenente un ripieno fragrante.

Improvvisamente il cuoco prese il bicchiere, lo rovesciò e, tenendolo per il gambo sottile, iniziò ad incidere la pasta con gesto sicuro e delicato ricavandone piccoli dischi che, una volta accolto il pizzico di ripieno, con un gesto meraviglioso del vecchio cuoco diventarono cappelletti.
 
Il bicchiere si stupì, frastornato e quasi indignato per questo uso improprio cui era stato forzato e, come tutti i bicchieri di cristallo dal carattere permaloso e suscettibile, iniziò a pensare di aver toccato il fondo della propria esistenza.

Sempre adombrato da questi pensieri non si accorse di essere nuovamente preso in mano e si risvegliò solo quando sentì scorrere tutto intorno un getto di acqua tiepida e il profumo del detersivo che lo lava dalle piccole tracce di pasta e di farina. L’umore cambiò poi quando venne asciugato in un morbido lino e posto dignitosamente in piedi sul tavolo.

D’un tratto un colpo secco, un suono familiare, lo sorprese e un getto fresco e spumeggiante lo inondò riportandolo all’infanzia e ai ricordi dei mille pizzicorini che le bollicine gli procuravano salendo in superficie. Si stupì e non si seppe spiegare la nuova situazione se non dopo aver ascoltato le parole del vecchio cuoco che, dopo un lungo sorso, gli aprono la mente:

-                     Tu ed io faremo grandi cose insieme.
 
Il vecchio bicchiere ha trovato una nuova casa, forse meno fastosa ma sicuramente accogliente e sa di essere apprezzato anche se ora la sua dote più ricercata è quella di avere un diametro come quello che Pellegrino Artusi suggeriva nel suo libro di ricette. Chissà se il grande cuoco abbia fatto la conoscenza di qualche suo fratello.



venerdì 25 maggio 2012

Istanbul

















Passeggiate pazienti attraverso mondi bizzarri, odori, suoni e colori, panorami, genti e gatti.

Tempo incerto, acquazzone da diluvio universale, sole cocente e nuvole leggere.

Taxi, tram, metropolitane, autobus, battelli, funicolari e funivie.

Bevande piccanti, panini con pesce e cipolla, tè nero profumato e caffè dello stesso colore.

Kebab e altre carni, verdure freschissime e croccati, frutta meravigliosa e gustosa.

Spremute di arancia da paradiso e fragole succose.

Nomi incomprensibili dal suono musicale.

Albergo da favola in mezzo a strade fantasma della città vecchia a un passo dal porto.

Gente brulicante ad ogni ora e voci che parlano un groviglio di lingue.

Abiti occidentali dal taglio perfetto insieme a lunghi mantelli.

Barbe bianche contornate da tuniche e tailleur.

Venditori di caldarroste, pannocchie arrostite, pani al sesamo e cozze con limone.

Donne meravigliose ed eleganti nei vestiti tradizionali, ragazzi occidentali e balene vestite di nero.

Musicanti di strada e muezzin dalla voce tonante.

Smog nell'aria e aiole profumate.

Acque solcate da mille imbarcazioni danzanti.

Dedali di vie nel gran bazar e i colori accecanti del mercato delle spezie.

Pescatori sul ponte Galata e gabbiani in agguato.

Fortezza d'Europa scalata senza corde per vedere uno scorcio del Mar Nero.

Porta container larghe quasi quanto il Bosforo.

Feste, matrimoni, cerimonie.

Ingorghi stradali inestricabili e autisti pazzi.

Moschee dalle luci soffuse e colori pastello, Topkapi rigoglioso e il diamante indimenticabile.

Canti dei preti ortodossi e riti antichi.

Autobus sgangherati e tram del futuro.

Echi di cammelli indolenti e cavalli scalpitanti nel serraglio della fantasia.

L'aria tiepida della sera.


lunedì 14 maggio 2012

Vento del nord

















Potrei raccontarti anche io del vento del nord, ma lo farei con il linguaggio delle nuvole.
Lo farei con gli occhi socchiusi per inseguire le nuvole che passano indifferenti ma non tutte perche' alcune si attardano, piu' basse delle altre e sembrano osservarmi; sono grigie, certe anche plumbee ma non cattive, solo un po' seriose perché non sanno sorridere come quelle bianche e spumeggianti.

Quelle grigie sono una via di mezzo, stanno a poco a poco imparando a non prendersi sul serio e sono le piu' disposte ad accorgersi del mondo.
Io invece mi sto accorgendo della gente, non e' più trasparente ma compare all'improvviso, prepotentemente all'attenzione e non so se scegliere le nuvole o le persone; forse farei bene a portare le persone sulle nuvole.

mercoledì 9 maggio 2012

Reazione a catena




Non sopporto l’idea di alzarmi presto per uscire in inverno, ma questa cosa la devo proprio fare e mi devo fare forza. Sono le 5:30, tra un’ora ho il volo per Londra da dove proseguirò per New York dove ho un appuntamento di lavoro. Gli aerei viaggiano sempre, incuranti degli orari e così io mi trovo in pieno centro ad essere tagliato a fette da una tramontana che non perdona.

Nei giorni scorsi ho pensato a tutto ma non ai soldi per il taxi per l’aeroporto. Sono innervosito da questa distrazione, sarà l’età o i mille pensieri. Rischio di perdere il volo e se c’è una cosa che mi mette ansia al mondo è quella di non arrivare per tempo negli aeroporti o nelle stazioni.

Per fortuna la banca è vicina e col bancomat posso prelevare quello che mi serve. La cassa automatica è riparata dal vento perché si trova all’interno di una stanza. Entro e inizio le manovre consuete finchè, un istante prima che l’apparecchio faccia il suo dovere, un black-out inchioda tutto e fa vacillare le luci. E’ cosa di un attimo, ma quanto basta perché io resti senza scheda e senza soldi a fissare una stupida scritta che mi invita a rivolgermi ad un funzionario all’interno della banca.

Ma la banca è chiusa, dannazione, guardo quanti soldi ho e mi rendo conto che 20 euro sono pochi per iniziare il viaggio. Li rimetto nervosamente nel portafogli ma finiscono nella patente nello scomparto accanto. Ormai sono preoccupato. Esco dal locale e ho la sensazione che ci sia qualcosa di strano nell’aria, forse il calo di corrente ha avuto qualche altro effetto di cui non mi rendo ben conto.

Cerco la macchina per andare da un amico a farmi prestare dei soldi ma non la trovo, chiudo gli occhi e inizio a creare nuove imprecazioni che per taluni possono essere splendidi mantra ma che nella realtà potrebbero uccidere chi li ascolta. Faccio due conti veloci guardando l’orologio e decido di andare a denunciare il furto dell’auto. Mi passa a fianco un autobus e io lo prendo al volo vista la loro rarità. Salgo sul retro e sono solo, cosa normalissima a quell’ora.

Il bus si mette a correre in maniera forsennata e vengo sballottato senza ritegno. Arranco verso l’autista per protestare pensando alle parole giuste da dire ma mi rendo conto che al posto di guida non c’è nessuno. Istintivamente mi metto al volante per fermare questa corsa folle e riesco a rallentare ma lo faccio proprio davanti ad una pattuglia della polizia che mi intima di fermarmi.

Salgono a bordo in due, mi chiedono i documenti guardandomi con sospetto perché non indosso la consueta divisa. Io consegno loro carta di identità e la patente e in quel momento mi rendo conto dei soldi rimasti dentro ma è troppo tardi. Uno dei due inizia a guardare i documenti e trovando i soldi mi chiede se è un tentativo di corruzione. Gli dico che sarebbe sciocco da parte mia farlo con 20 euro e mi incasino dicendo che non ho altro e quello la prende alla rovescia pensando che volessi offrire di più e mi dice di scendere dal bus e seguirlo per accertamenti.

Saliamo sulla volante e percorrendo mezza città entriamo in un edificio attraverso un passo carrabile. Scendiamo e mi portano in un ascensore che, invece di salire verso gli uffici, inizia a scendere. Piu’ scende e più sale l’ansia, ma la rapidità con la quale si svolgono le cose non mi dà tempo per pensare.

Dopo un’infinità di piani le porte si aprono su un corridoio dalla luce accecante dove tutti portano occhiali scuri e abiti neri, mi accorgo che gli agenti sono spariti e vengo accompagnato da un personaggio che sembra uscito da Blade Runner che mi fa accomodare in una stanza e mi lascia solo senza dire una parola. Una voce mi arriva dal nulla:

-         Si sieda.

Lo faccio e attendo all’infinito quando d’un tratto tutta una parete si apre lasciando spazio ad una vista mozzafiato sulla citta. Si, ma quale città? Ma non ero sceso sotto terra? Sento una voce accanto a me che mi dice:

-         Bella vista vero?

Mi guardo intorno e non vedo nulla tranne una penna sul tavolo e dalla quale sono convinto venga la voce. La prendo in mano per cercare l’altoparlante ma sento dire:

-         Ehi! Mettimi giù, ma che modi!

Per poco non la faccio cadere e l’afferro con delicatezza.

-         Ma ti sembra il modo di trattarmi?

Balbetto frasi sconnesse e fisso la penna pensando di aver oltrepassato il limite della ragione, forse l’ansia, lo stress. Lei mi dice:

-         Prenditela comoda che tanto il viaggio sarà lungo.

Con gesto automatico metto la penna nella tasca della giacca, chiudo gli occhi con la testa che gira e mi lascio andare sulla poltrona privo di forze e di volontà. Il panorama viene sostituito rapidamente dalle nuvole che sembrano sfrecciare veloci ma non avverto alcun movimento. Alla fine la parete si richiude giusto in tempo per far entrare nella stanza una di quelle strane persone inespressive che mi dice di uscire, ma forse me lo immagino perchè non vedo nessun movimento delle labbra.

Esco nel corridoio convinto di rifare la strada fatta all’andata, ma al posto del corridoio vedo che la porta si affaccia direttamente su un ufficio dove un’infinità di persone si muovono indaffarate. Mi viene incontro un uomo che stento a riconoscere ma poi con immenso stupore capisco che è il mio cliente di NY che con un sorriso mi dà il benvenuto augurandosi che abbia fatto buon viaggio e mi dice “Complimenti! Sempre puntuale!”

Mi accorgo di essere a NY nel suo ufficio e per poco le gambe non mi cedono. Mi volto indietro e mi accorgo di essere uscito dal solito ascensore che prendo ogni volta che vengo qui. Mi faccio forza e trascorro la giornata di lavoro come avevo previsto. La sera vengo accompagnato nel mio albergo che vedo come il paradiso dopo una sequenza di eventi impossibili che non ho ancora capito.

Piombo in un sonno spettacolare dal quale mi sveglio per colpa degli strepiti che provengono dalla mia giacca. Svegliarmi e vedere la stessa stanza della sera prima mi infonde sicurezza, ma subito ripiombo nella costernazione quando mi rendo conto che a gridare era la penna che distrattamente avevo portato con me.

-         Ma insomma, quanto ci metti a svegliarti! Preparati che dobbiamo andare!

La mia penna ha ragione. Ma come “la mia penna”! Ma sono diventato matto? Comunque sia ha ragione. Doccia, vestito e colazione abbondante. E ora? Cosa ci faccio qui senza un visto di ingresso? Se mi presento all’aeroporto mi arrestano. Decido di prendere la metro per andare in consolato mentre cerco una scusa plausibile da raccontare.

Scendo sotto terra e mi perdo nella folla trovando un posto libero che occupo per non essere travolto. Il vagone deve essere vecchio e le luci vanno e vengono. Dopo un black-out un pò più lungo degli altri il treno si ferma e la gente si muove. Avendo contato le fermate so che dovrò scendere molto più avanti e non faccio caso al movimento della gente.

Però quando il treno riparte mi accorgo di essere rimasto solo e la cosa, nella metro, non è mai una buona cosa. Mi alzo e cerco di guardare nei vagoni vicini, ma le luci sono spente. Mentre quelle della mia carrozza hanno ripreso il balletto di prima. Alla fine ci fermiamo in una stazione e io decido di scendere anche se so che non è la mia. Non mi fido a proseguire in quel modo.

Sul marciapiede mi blocco e inizio  ad avere uno dei mancamenti che ormai da un pò mi colgono di fronte all’impossibile. La stazione è quella di Piazza de Ferrari a Genova. Ho le gambe pesanti come piombo e mi sembra di non riuscire a camminare. Tutto intorno la gente si comporta normalmente, guardo l’ora e mi accorgo che sono le 9 e mezza. si, ma di che giorno? Compro un giornale per togliermi il dubbio e mi rendo conto così che sono passate solo 4 ore dal mio tentativo di prelievo.

Ora che ci penso. La banca è proprio sopra di me. Posso almeno recuperare il mio bancomat. Entro e mi rivolgo ad un funzionario spiegandogli cosa sia successo. Questo mi fa accomodare e dopo aver accertato che io sono l’effettivo proprietario della carta, me la riconsegna dicendomi di firmare la ricevuta.

Prendo istintivamente la penna che ho in tasca, firmo e mi accorgo di averlo fatto con quella che ho preso e portato con me. E’ un tuffo al cuore che mi ripiomba nell’incubo. La poso velocemente come volessi allontanare da me la follia ma il funzionario mi dice:

-         No no, la tenga pure signore ci fa piacere che i nostri clienti portino con se i nostri gadget!

Con un sospiro rimetto la penna in tasca ma per un istante che non scorderò mai, la sento ridere distintamente e dirmi:

- Felice che tu abbia viaggiato con Dream Travel!