lunedì 26 giugno 2017

Prospettive


Io


Il mio gatto dice che sono cambiato. Non lo dice chiaramente ma lo fa capire col suo comportamento. Lo vedevo un po' intimorito e titubante ogni volta che doveva venirmi vicino ma all'inizio non facevo caso a quella sua espressione interrogativa che mette sul suo muso quando c'è qualcosa che non va.
La cosa e' andata avanti per giorni nella mia consueta indifferenza e la sua crescente ansia che lo costringeva a comportamenti furtivi e selvaggi per non incrociare il mio percorso durante il giorno.

Poi, una sera, al culmine di una giornata surreale che abbiamo trascorso in una solitaria compagnia, mi si avvicina e sbotta un miagolio liberatorio e furibondo: "Tu hai un altro gatto. L'ho capito, sai?". Mi guarda con le lacrime feline pronte a inondare le vibrisse,  impavido nel voler ascoltare la rivelazione ma ancora speranzoso, in cuor di micio, che i suoi timori fossero in fondo uno strano scherzo del momento, forse causati dall'età che avanza, forse dal cambio di dieta che il veterinario gli ha imposto per poter continuare a entrare e uscire dalla sua scatola preferita.

Ecco, si, dentro quello sguardo si poteva leggere tutto questo e io so leggere molto bene il mio gatto. Proprio per questo evito di esplodere in una risata liberatoria e lo guardo con un sorriso tenero e disarmante che lo disorienta immediatamente. Gli faccio il gesto di raggiungermi sul divano ma il suo orgoglio felino ha deciso che deve fare il duro ancora per un po'. E così gli chiedo adagio "Dimmi, hai per caso visto in casa un piccolo pacchetto fasciato con carta da regalo?"
Lui, a queste parole, ha un fremito come se lo avessi colto in fallo ma resiste e mi dice: "E se fosse? Lo sai che ho un debole per pacchi e confezioni...".

"Si", aggiungo io "ma questo lo avevo ben nascosto sopra l'armadio, coperto dal tappeto arrotolato".
Inizio a notare una lieve crepa nella sua felina certezza causata dalla consapevolezza che l'armadio fosse ormai zona proibita per la sua età (del micio, non dell'armadio) e che non sapesse come giustificare la sua presenza lassù. Alla fine mi dice: "E' in fondo colpa tua se mi sono dovuto arrampicare fin lassù per cercare la prova del tuo tradimento. E l'ho trovata!"
Si allontana e ritorna dopo poco con i resti del pacchetto sbrindellato, dal quale esce una parte del contenuto che mi incrimina. Me lo mette tra i piedi e con veemenza mi chiede: "E questo come lo giustifichi?"

Raccolgo il pacchetto e libero il contenuto dai suoi brandelli. Guardo il topo giocattolo, acquistato per tempo nel mio negozio preferito e poi osservo divertito il micio che ha ancora quell'espressione di sfida negli occhi e, porgendoglielo gli dico: "Buon compleanno George, non ti stancare troppo inseguendolo".


George

Mi chiamo George, sono il Gatto Di Casa e il mio umano mi tradisce. L’ho scoperto per caso quando un giorno sono riuscito ad arrampicarmi fino in cima all’armadio con non poche difficoltà, penso al quarto o quinto tentativo di salto dopo aver rifatto i calcoli mille volte  e rischiato le mie vite rimanenti in arditi tuffi carpiati verso il nulla. Devo dire che sono molto caparbio nel voler fare le cose che mi sono proibite; soprattutto quelle “vivamente sconsigliate” dal veterinario (che un botolo lo morda, quel dannato!). Comunque, alla fine, sono riuscito a salire sulla vetta e a restarvi immobile per una buona mezz’ora, giusto il tempo per riparare i danni provocati dalla salita e dai tentativi di raggiungerla (ecco, si, soprattutto dai tentativi).
Comunque ero nel luogo più alto della casa a godermi un panorama che solo gli alpinisti mi possono capire quando, effettuato l’ultimo passo con schiena curva e schiacciati dalla fatica, si ergono ritti a osservare l’infinito intorno a loro.  Stavo appunto osservando il mio infinito quando noto dietro al fagotto del tappeto invernale un oggetto di colore inusuale per quei luoghi. Era troppo pulito per essere di casa da quelle parti e così sono partito alla scoperta del mistero. Mi avvicino e scopro un pacchetto di piccole dimensioni ma fasciato con una carta irresistibile che mi ha provocato un brivido di eccitazione che neanche Mildred, ai suoi tempi, era riuscita a farmi provare.
Pregusto il momento accoccolandomi vicino al pacchetto, anzi, intorno al pacchetto e decido in un momento di creatività, quale sarebbe stata l’unghietta che avrebbe aperto il primo varco in quella squisita confezione. “Ripppp…” che suono magico! La carta si lacera senza opporre resistenza, quasi fosse stata fatta apposta per quello scopo e lascia trasparire il contenuto, un qualcosa che sembra pezza o peluche e che, istintivamente, mi mette in allarme.
Il secondo, terzoquartoquinto graffio liberano il contenuto che mi appare ormai chiaro: un Topo Giocattolo. Uno di quei magnifici, irresistibili topi che noi felini amiamo rincorrere senza avere il patema di un incontro con un topo vero e le sue implicazioni psicologiche. Ma un topo nascosto in un luogo a me proibito vuol dire che non è per me! Ma allora…!! Tradimento!
Impiego un’altra buona mezz’ora a riprendere il controllo (la mezz’ora deve essere il mio tempo standard), che trascorro pensando a come scendere dall’armadio senza spiaccicarmi sul pavimento. Alla fine riesco nell’intento, trascinando con me il pacchetto destinato al Fedifrago, con l’intenzione di portarlo dove il mio umano non l’avrebbe mai trovato.
Passano così i giorni in cui lo osservo di nascosto per capire cosa si sia rotto nel nostro rapporto; in fondo l’ho sempre fatto giocare facendogli gli agguati mentre leggeva il giornale, rovesciando per terra la scatola di croccantini invitandolo a una caccia al tesoro per cercare quelli infrattati sotto i mobili e che io ero più bravo di lui a scovare; oppure quando gli nascondevo il mouse del computer (in fondo sono un gatto) e lo vedevo inventare felice nuove parole gridate a chissà chi mentre girava per casa.
Ma torniamo a noi, anzi, a lui, il Traditore. Si aggira per casa con quell’aria tranquilla e indifferente che sicuramente assume per nascondere il senso di colpa che sicuramente (spero) lo attanaglia. Vedo che i guarda con aria interrogativa e questo non fa che aumentare le mie sicurezze.
Poi, una sera, non ce l’ho più fatta a vivere in questa situazione e ho deciso di affrontarlo e gli ho detto: “Tu hai un altro gatto, l’ho capito, sai?” L’ho detto quasi piangendo ma lui, per fortuna, non se ne è neanche accorto visto che sono troppo bravo a nascondere i miei pensieri dietro un muso imperscrutabile.
E succede l’irreparabile: mi sorride. Ecco, a questo non ero preparato; pensavo di fronteggiare una crisi di rabbia scatenata dalla vergogna oppure di una violenta negazione dell’evidenza, cose nelle quali gli umani sono esperti e invece no. Ha sorriso e mi ha anche chiamato a salire con lui sul divano! Stavo quasi per farlo ma la mia dignità felina è arrivata in tempo e mi ha salvato dal gesto inconsulto (oddio come avrei voluto farmi fare un grattino da Lui…) E invece no, sono corso nel mio nascondiglio per prelevare l’Oggetto e l’ho depositato con alterigia tra i suoi piedi mentre gli chiedevo: “E questo come lo giustifichi?” 
Lui raccoglie il pacchetto sbrindellato, libera il contenuto osservando quel magnifico Topo; continua a osservarlo per un po’ sopra pensiero e alla fine me lo porge dicendo una frase che mi fa sprofondare nell’inferno dei gatti, tanto da diventare rosso rubizzo: “Buon compleanno George, non ti stancare troppo inseguendolo”.

La clinica Il micio felice.

“Questo gatto è grasso”. Il veterinario è di poche parole ma quando decide di usarle sa esprimere i concetti con una sintesi mirabile. Mentre continua a manipolare George che scambia le attenzioni del medico per una nuova tecnica coccolatoria, magari di provenienza orientale, ripete sopra pensiero.”Si, questo gatto è decisamente troppo grasso”. “E”, aggiunge, “è tutta colpa tua” dice tornando alla realtà guardandomi con espressione severa e accusatoria.
Da quando ti sei messo a cucinare questo gatto è lievitato come un sofficino, sembra una cima genovese con le zampette. Devi assolutamente metterlo a dieta e fargli fare del movimento altrimenti, un giorno, entrerà in una delle sue scatole e non riuscirà più ad uscirne.
Poi rigira George dalla parte giusta, usando la coda come sistema per riconoscere il “didietro” di una sfera e lo depone (a fatica) nel trasportino che presto dovrà essere sostituito con un container.
Salutandomi mi dice a bassa voce: “Perché non gli compri uno di quei giochini nuovi, a forma di topo che gli girano intorno con fare irrispettoso, lo stuzzicano e scappano, facendosi inseguire per la casa. In questo modo George potrebbe nuovamente ricordarsi a cosa servono le zampe oltre a darsi le grattatine di circostanza. Vai nel negozio e fatti consigliare.”


La zampa, articoli per campioni col pelo.

Entro nel negozio e spiego al Commesso la situazione felina nella quale mi trovo. Lui ascolta con un’aria professionale che neanche il veterinario ha mai usato, annuendo e facendo battute complici dicendomi come lui abbia avuto simili esperienze personali. Immagino che un personaggio simile dica di aver avuto esperienze personali di ogni genere a chiunque si fosse confidato con lui ma immagino faccia parte del ruolo di venditore.
Io, come cliente, ho lasciato George a casa perché sarebbe stato imprudente portarlo in un luogo del genere; lo avrebbe preso per una sala giochi spettacolare, una Gardaland per mici, una personalissima Disneyworld fatta apposta per lui. Ho preferito non dargli troppe emozioni premature, in fondo tra pochi giorni sarà il suo decimo compleanno.
Il Commesso ritorna con un oggettino che depone sul tavolo e mi dice: “Il veterinario aveva ragione, oggi c’è uno spettacolare topo meccanico che si comporta come uno vero. Anzi, nel classico gioco del gatto col topo, lui riesce a invertire i ruoli e fare mille diavolerie per smuovere anche i mici più pigri.”
Quel Coso deve essere mio, decido e così esco con un pacchetto regalo, confezionato con una carta che, assicura il Commesso, è studiata apposta per attirare i gatti più indifferenti alle cose del mondo.


David.

Sono un topo. Da sempre, mi pare, poiché non ho ricordi precedenti la data del mio assemblaggio; Ho ricordi vividi che iniziano subito dopo la mia programmazione e amo pensare al momento in cui l’operatore mi ha attribuito il mio numero di serie, mi sono venuti i brividi quando ha eseguito tutti i test e stabilito che sono un Topo 2.0 in ottima forma e pronto per affrontare il mondo umano e felino. E’ stato con un momento di apprensione che ho vissuto il mio confezionamento; non ero preparato a questo ma, ho capito in seguito, sono stato spento e caduto nel sonno dei giusti finchè non mi sono svegliato trovandomi in una bizzarra situazione.
La confezione deve essersi aperta e qualcosa deve aver azionato il mio interruttore risvegliandomi; c’erano molte aspettative sul Risveglio e si rincorrevano diverse storie tra i miei colleghi topi in attesa del confezionamento. C’era il mito del Buon Gatto Di Casa, sornione e pacioso, del Gatto Fantasma, timido e asociale che passava il suo tempo nascosto in luoghi segreti. 
Tante cose mi sarei aspettato ma non un micio con un’aria arruffata, un’espressione affranta, sull’orlo di una crisi di nervi che alternava sentimenti di odio e di rimpianto. Subito faccio affidamento sulle istruzioni chiare e precise contenute nel manuale di psicologia felina che mi sono state fornite standard. Queste dicono espressamente: “In caso di situazioni incresciose e insolubili, fingiti morto”. Così ho fatto e il micio, dopo una buona mezz’ora si è apparentemente quietato.
Pensavo che fosse tutto finito ma invece no. Lui mi arraffa insieme alla confezione e si precipita giù da un’altezza così paurosa da produrmi un reset per le troppe emozioni. Mi risveglio con lui addosso e una zampa dolorante, eseguo un veloce check-up riscontrando che è tutto a posto e mi rassegno a questa nuova esistenza in un mondo apparentemente ostile.
Passano i giorni e li trascorro nel buio di un luogo dove arrivano solo suoni ovattati che non mi permettono di capire la situazione ma sono fiducioso, le mie batterie sono un portento, mi pongo in modalità di risparmio energetico e attendo.
Dopo una settimana, 12 ore, 34 minuti, 12 secondi e 4 decimi (non posso fare a meno di essere preciso) vengo ghermito da una furia e deposto tra due oggetti che identifico come scarpe umane. Bene, un passo avanti, finalmente. L’umano mi solleva e mi libera dell’imballaggio, e mio osserva: lo riconosco, era quello del negozio! E’ bello che qualcuno abbia preso in mano una situazione che, francamente, trovavo difficile da gestire. Mi depone per terra mentre dice qualcosa al micio. 
Capisco che si chiama George e così, ormai preso dal mio ruolo, vado incontro al destino e dico: “Ciao George, giochiamo?”