Oggi, chiacchierando con un amico di racconti per bambini
e ragazzi, è nata una discussione circa L’isola del tesoro e L’isola che non
c’è. A lui piace l’isola che non c’è; dice che non sa bene il motivo, ma forse
la cosa è legata al mondo magico della nostra infanzia popolato di bambini
mentre l’isola del tesoro ha una storia più avventurosa, più da ragazzi.
La cosa sembrava limitata ai minuti della conversazione,
ma con l’avanzare delle ore un tarlo si è installato nella mia testa e ha cominciato
a stuzzicarmi come solo i tarli sanno fare. Saranno anni che non sentivo
parlare delle due storie che pensavo circoscritte ad una fascia di età dalla
quale ero uscito da tempo. Ora però i due titoli mi stimolano altri pensieri
indipendenti dalle due storie ma legati solamente al significato del titolo.
L’isola che non c’è mi mette istintivamente ansia, la mia
mente razionale rifiuta di parlare del nulla e il solo fatto di immaginarvi una
intera isola mi mette a disagio. E’ più che un miraggio, più inutile della
lotta contro i mulini a vento, desiderare di essere nell’isola che non c’è mi
mette addosso una tristezza legata all’oblio e al pessimismo implicito. Non
posso pensare a qualcosa di bello e contemporaneamente sostenere che non c’è!
Per contro, l’isola del tesoro induce sentimenti positivi,
forse per la parola tesoro o l’euforia di una ricerca di qualcosa di concreto
benché nascosto. Da un lato c’è il mistero e dall’altro un premio reale: da
questo punto di vista, mi dico, come non parteggiare per l’isola del tesoro?
La mattina dopo, alla solita ora che gli amici reputano
folle, esco a fare una passeggiata sul lungomare con il tarlo sempre in
funzione. Le giornate iniziano ad accorciarsi e il clima a farsi più incerto;
inizia ad albeggiare e la residua umidità della notte crea sul mare una leggera
nebbiolina che limita la visibilità nascondendo l’orizzonte ma non le acque
vicine alla riva, normalmente percorse dalle navi che entrano ed escono dal
porto.
Poca gente in giro a quest’ora, ormai ci si conosce tutti
almeno di vista e con alcuni ci si scambia un cenno di saluto incrociandosi.
Una mattina come tante che però mi lascia un senso di fastidio di cui non
riesco a capire la causa. Passeggio come al solito guardando ora il mare e le
navi di passaggio, ora la strada e le poche macchine che la percorrono.
Infine mi rendo conto di cosa mi procuri il fastidio: al
largo, oltre le rotte delle navi, si scorge una forma scura avvolta dalle
nuvole basse e dalla nebbia. Inizialmente pensavo fossero solo nuvole rese
scure dalla mancanza di luce, ma a mano a mano che il mattino avanzava,
l’immagine si faceva sempre più simile a quella di un’isola. Si, un’isola di
fronte al lungomare della città.
Ieri, giornata spettacolare con visibilità notevole, non c’era
nulla. Le solite navi, le solite onde lunghe, forse un fronte nuvoloso
all’orizzonte ma nulla di tutto questo. Rallento il passo come se questo avesse
perso il suo slancio e mi appoggio alla balaustra che divide la passeggiata
dalla spiaggia sottostante. Lo sguardo è fisso su quel punto in mezzo al mare e
non si dà pace per spiegarsene la ragione.
Poco dopo mi passa accanto una ragazza che conosco di
vista, la chiamo e le chiedo se avesse notato quella cosa in mare, indicando
col dito la direzione. Lei, con aria trafelata e il fiato corto, mi chiede cosa
indicassi: forse quella nave che si staglia all’orizzonte? Io le spiego quello
che mi sembra evidente e che ho davanti agli occhi: l’immagine di un’isola,
avvolta dalle nuvole, ma pur sempre una dannata isola sorta dal nulla.
Lei mi guarda sospettosa come se questo mio modo di fare
fosse un modo per attaccare discorso; anche le sue amiche, raggiungendola
confermano di non vedere nulla; io non so che dire e così ci salutiamo senza
convinzione, lei verso la sua corsa e io ancora più confuso a scrutare verso
mare. Che sia suggestione? Eppure, a parte le poche parole sulle isole dette
ieri sera, non mi sono sentito particolarmente coinvolto da questi pensieri
benché non smettessero del tutto di ronzarmi in testa.
Provo a far finta di nulla cercando di distrarmi portando
la concentrazione su cose futili come contare le auto di passaggio nei due
sensi, calcolare quando il sole sarebbe sorto da dietro il monte questa mattina
o seguire i disegni sulle piastrelle della passeggiata. Non so se mi sento più
folle a fare queste cose o a credere nell’esistenza di un’isola che non c’è mai
stata.
Infine incontro Giacomo, il vecchio camminatore del
mattino, la persona più anziana che popola la passeggiata a quell’ora del
giorno. Cammina con passo sicuro nonostante l’età, sempre intabarrato anche in
estate, frutto della sua latente eccentricità. E’ una delle persone che forse
conosco meglio perché ogni mattina invece di incrociarci velocemente, ci
fermiamo qualche momento a raccontarci qualcosa o, semplicemente, a dirci che
ci fa piacere questo incontro prima di iniziare la giornata.
Quando allungo un braccio verso il mare dove altri vedono
il nulla, lui mi guarda stupito e mi dice:
-
Ma allora la vedi anche tu!
Io oltre all’isola guardo lui come fosse un marziano con
cui condivido un’allucinazione. Avevo quasi stabilito di essere io ad avere
problemi di vista o di stress quando anche il mio collega di camminate afferma
di vedere le mie stesse cose e smonta il castello di sicurezze che mi stavo
costruendo.
-
Ma come è possibile che ci sia quell’isola! Non c’è mai
stato nulla in quel punto, solo mare. E le ragazze di prima non sono riuscite a
vedere nulla: mi hanno quasi preso per matto!
-
Quella è un’isola che solo pochi vedono e quasi nessuno
riesce a raggiungere. Io ci sono stato da ragazzo e da allora mi ha sempre
accompagnato durante le camminate del mattino. Spesso mi parla e ci teniamo
compagnia. Sono veramente contento che anche tu riesca a vederla. A me ha
sempre dato grande sollievo e spero che ciò accada anche a te.
Non bastava che vedessi l’isola, ora vengo a sapere che
Giacomo l’ha visitata e persino le parla. Questa non è più una passeggiata del
mattino, è diventata una seduta psichiatrica in cui non si scorge il terapeuta.
Ci salutiamo, lui con aria allegra e io sempre più cupo e
preoccupato. Proseguo la passeggiata più per abitudine che per convinzione e
ormai la luce del sole ha inondato il mondo mentre le auto più numerose
indicano che la città si avvia verso il lavoro. In questo nuovo fragore dei
sensi volgo lo sguardo rassegnato verso il mare e noto che l’immagine si fa più
rarefatta, la nebbiolina con i primi raggi si è ritirata e infine lascia la
visuale nitida sul mare aperto senza più traccia di isole. Neanche uno scoglio.
Non so se la cosa mi tranquillizzi o no. Se l’avessi vista
solo io mi sarei sicuramente dato una risposta razionale pensando a
suggestioni, stress, momenti di stanchezza, qualche scherzo della natura come
accade con i miraggi nel deserto, ma le testimonianze contrastanti delle
persone incontrate alimentano il mio tarlo che a questo punto inizia a
rosicchiare felice.
Fingo di far finta di nulla e torno verso casa in tempo
per la doccia e la colazione prima di mettermi a lavorare. Occupato tutto il
giorno con i miei progetti, non ho più badato al tarlo o forse lui si è
momentaneamente saziato; la sera, tornando a casa da un appuntamento di lavoro,
percorro da solo il lungomare in auto, immerso nel traffico dell’ora di punta;
in coda ho l’occasione per liberare la mente senza le costrizioni
dell’attenzione alla guida. A tratti si intravede il mare e, fermandomi ad un
semaforo proprio tra un’aiuola e l’altra getto lo sguardo istintivamente verso
l’orizzonte, ma la vista si ferma ben prima incontrando il verde della fitta
vegetazione contornata dal biancore della schiuma del mare che si infrange
sulle coste.
L’isola è tornata e, dall’indifferenza che regna sulla
passeggiata, capisco che sono l’unico a vederla; mi perdo in questi pensieri e
blocco il traffico provocando le rimostranze degli automobilisti dietro di me.
Riparto subito e raggiungendo un altro varco dove cerco di proseguire quella
stupita contemplazione. Faccio solo in tempo a vedere un’ombra che svanisce per
lasciare il posto al consueto panorama. L’isola che non c’è ha un comportamento
bizzarro che non mi dà pace. Decido che la mattina dopo avrei approfondito la
cosa con Giacomo che mi sembra l’unica persona in grado di aiutarmi.
Sogno isole tutta la notte e la mattina svegliandomi mi
stupisco di essere nel mio appartamento e non su qualche veliero su una rotta
dei mari del sud. Ricordando il mio proposito della sera, mi precipito sul
lungomare e inizio la mia passeggiata, fermamente intenzionato a parlare con
Giacomo. Però lungo il cammino non vedo l’ombra di isole e quando incontro il
vecchio sono più confuso che mai.
Lo incontro vicino al nostro luogo abituale, intento a
seguire una linea dei disegni tratteggiati sul marciapiedi con aria divertita e
soddisfatta. Ci salutiamo e, dopo avermi spiegato per quale bizzarro motivo
facesse quell’esercizio, mi guarda, capisce cosa mi stia succedendo e mi
chiede:
-
Questa mattina niente isola vero? Lo immaginavo.
Compare solo quando non la cerchi, non è un miraggio ma dipende dalla tua capacità
di isolarti dal mondo, non è una tua fantasia ma una parte di te che si
materializza quando la tua mente non è occupata in mille pensieri del mondo
reale. La puoi chiamare un’esperienza Zen, qualcosa che esiste e
contemporaneamente non esiste. Io ho impiegato anni in questa ricerca
dell’irraggiungibile e ho capito che solo conoscendo bene me stesso riuscivo ad
avere un minimo di controllo della cosa.
-
Ma ieri mi hai detto che ci sei anche stato! Ma come è
possibile approdare su un’isola che dovrebbe essere solo un’emanazione del
proprio pensiero, una forma di allucinazione. Anche se prendessi una barca per
andare lì dove la vedi, alla fine le passeresti attraverso, non so spiegarmi
bene la cosa, ma sicuramente non troveresti terra solida.
Faccio questi discorsi con Giacomo perché, nonostante
l’età, ha una mente lucida come pochi giovani hanno, io ho imparato a
conoscerlo e a giudicarlo una persona assennata. Proprio questo fatto mi mette
a disagio; mi sento nel mezzo di una storia surreale.
I giorni seguenti mi hanno visto fare esperimenti, prove
di concentrazione e momenti in cui tentavo di liberare la mente; a volte con
successo, a volte meno. Proprio quando penso di aver individuato la strada
giusta succede qualcosa per cui devo ricredermi. Sono in un vicolo cieco.
Un giorno però è successa una cosa cui non ho dato
particolare importanza ma che, vista in prospettiva posso dire che ha dato una
svolta alla mia vita e alla mia isola fantasma. Per una curiosa combinazione di
orari, un giorno è capitato che percorressi la passeggiata in un momento
diverso dal mio solito orario per cui le persone che solitamente incrociavo
lungo il percorso, questa volta percorrevano il marciapiede nel mio stesso
senso di marcia. In particolare una signora che avvistavo da lontano e
continuavo ad ammirare via via che si avvicinava fino a salutare con un sorriso
nei pochi secondi in cui ci si incrociava, mi si affianca e mi saluta un po’
trafelata.
-
Buongiorno! Ha cambiato orario questa mattina. Ho
sempre constatato la puntualità con cui ci si incrociava più o meno nello
stesso punto, sorridendo al pensiero delle nostre abitudini evidentemente
metodiche.
Io le rispondo con voce sicura perché, a differenza di lei
che percorre di corsa più volte la passeggiata a mare, io mi limito a camminare
benché con passo spedito. Questo mi permette di esprimermi tutto sommato in
maniera gentile senza espellere pezzi di polmone. Inoltre ho modo di guardarla
meglio da vicino e per me, essendo un po’ miope, la cosa è importante perché
ciò che vedo è veramente una delizia. Cioè: considerando il fatto che dopo
qualche chilometro di corsa una persona non è proprio un fiore, sorvolando su
questo dettaglio e lavorando un po’ di fantasia, arrivo a stabilire che la mia
vicina non è affatto male.
Inizia così una piccola conversazione che però dura meno
di quanto avessi sperato perché mi dice che deve terminare il percorso entro
pochi minuti prima di andare al lavoro. Ci salutiamo e io prendo nota dell’ora
per poter replicare l’incontro il giorno dopo.
Mentre la vedo correre davanti a me inizio a canticchiare
tra me e me un motivetto al ritmo dei miei passi e dopo un po’ la vedo sparire
dietro ad una curva. Andata. Spero domani di azzeccare l’ora giusta. Ma sparita
lei, nel mare compare l’isola. Quasi non pensavo più alla possibilità di
replicare quell’esperienza ma questa mattina, invece ed improvvisamente, eccola
là.
Questa volta non mi faccio coinvolgere e facendo finta di
niente proseguo la mia strada. Se devo diventare matto voglio almeno avere il controllo
fino all’ultimo!
La mattina dopo, stessa ora calcolata maniacalmente, mi
presento in tutto il mio splendore all’appuntamento, o meglio, solo io lo
consideravo un appuntamento, ma possiamo sicuramente sorvolare su questo
particolare. Lei arriva trotterellando e mi si affianca regolando il suo passo
col mio. Stesso saluto di ieri ma un pò complice visto che ha notato che dopo
mesi tutti regolari, oggi ho curiosamente cambiato abitudini. Questa mattina il
percorso insieme dura un po’ di più ma termina nello stesso modo del giorno
prima con una sua fuga che coincide con l’apparire dell’isola.
Da quel giorno in poi, con rare eccezioni legate al clima
autunnale, abbiamo iniziato a camminare, passeggiare, un po’ correre (ma poco)
insieme. Invece di far finta di incontrarci per caso ci siamo dati appuntamento
e iniziato il percorso insieme. Abbiamo anche iniziato a sentirci la sera in
chat, ad ascoltare musiche insieme e, senza la frenesia del mattino, anche a
scambiarci idee più riflessive.
Una sera, parlando dei luoghi dove preferiamo stare, le
dico:
-
Vorrei venirti a trovare, vedere dove abiti. Deve
essere un posto tranquillo.
-
Io vivo nell’Isola che non c’è.
Questa frase innocente mi scatena una reazione che mi dà i
brividi: rivedo in un istante l’isola nella nebbia, le mie conversazioni con
Giacomo e le apparizioni mattutine dopo che ci lasciamo. Sono stordito e cerco
di mettere insieme tutti i sentimenti che mi agitano.
-
Allora se non c’è non posso venire da te, come
facciamo?
-
Potrebbe essere un problema, in effetti. Però dipende
da te e dai tuoi pensieri.
-
Io preferirei vederti nell’isola del tesoro, scoverei
una mappa e la decifrerei per scoprire dove vivi.
-
Non mi troveresti così facilmente. Non mi piace l’isola
del tesoro, non amo le ricerche, le mappe e i tesori. Preferisco i sogni.
-
Ma per me tu rappresenti il tesoro da raggiungere, il
premio al termine della mia ricerca!
-
In questo caso sembra che tu voglia giocare da solo: io
sono il tuo premio, ma chi premia me? No, a certi giochi si gioca in due. Ti
lascio alla tua ricerca, quando ti sarai ritrovato ci sentiremo. Ciao.
Non ci sono rimasto proprio bene, se devo dire la verità.
Il termine “isola che non c’è” continua a mettermi a disagio, la mia mente
razionale rifiuta questa evidente contraddizione. Anche da piccolo non mi è mai
piaciuto il racconto non riuscendo ad immedesimarmi in nessuno dei
protagonisti. Al contrario “l’isola del tesoro” ha sempre rappresentato quello
stimolo di avventura e miraggio che un bambino ama nelle storie. Concretezza e
premio dopo un sacrificio. Come conciliare queste posizioni opposte?
Vado a dormire con la sensazione di quello che, sapendo di
aver ragione, non capisce come un’altra persona possa dubitare dell’evidenza.
Il tarlo si è rimesso in funzione facendo gli straordinari e ingrassando
indecorosamente così la notte passa in sua compagnia.
I giorni successivi una pioggia fastidiosa mi tiene a casa
dalla passeggiata mattutina e, le volte che percorro in auto il lungomare,
dell’isola nessuna traccia. Sembra proprio che le cose siano ritornate come
prima. Una sera, percorrendo i vicoli di ritorno da una cena in trattoria,
incontro Giacomo che, abitando da quelle parti, mi invita a casa sua per un
goccetto. Io accetto volentieri e lo seguo su per una serie infinita di scale
di ardesia che sembrano portare direttamente in paradiso.
Il paradiso è un piccolo appartamento affacciato sui tetti
del centro storico con una vista che spazia da levante a ponente: uno
spettacolo. Mezza città illuminata ai miei piedi e il mare calmo su cui si
riflette la luna. Non proprio lo spettacolo da godere con Giacomo, ma tutto
sommato anche un amico saggio e un bicchierino ci stanno bene.
Anche lui sente la mancanza delle passeggiate del mattino,
ma mi dice che si tiene in forma comunque facendo le scale di casa più volte al
giorno. Gli credo. Nonostante siano passati diversi minuti, ho ancora il
fiatone per la scalata fatta. Si siede in una poltrona rivolta verso la
finestra e mi dice:
-
Questo è il posto dove sogno la sera. Guardo poca televisione
e leggo parecchio, ma quando ci sono giornate come questa lo spettacolo del
mondo è impagabile e guardandolo riesco a sognare ad occhi aperti.
-
Io invece sono sempre preso dal lavoro e ho poco tempo per le distrazioni.
Si, qualche volta quando sono in macchina riesco a rilassarmi, ma a volte le
telefonate arrivano anche lì e allora addio tranquillità.
-
E’ un peccato che la vita ti porti a questa frenesia,
perdi un aspetto prezioso del mondo e di te stesso. Dovresti organizzare
diversamente le tue attività, dedicare più tempo a te, anche semplicemente non
facendo nulla.
Facile per lui dire queste cose, l’età gli consente cose
che io, dovendo lavorare, non posso fare. Gli racconto dei miei avvistamenti
dell’isola, visto che lui è l’unico a potermi capire; la chiamo, così per
gioco, “l’isola del tesoro” chiedendogli se lui quando ci è stato avesse la
mappa del tesoro e lo avesse trovato. Lui però mi dice:
-
Anche io la pensavo come te e per lungo tempo ho
cercato un modo per raggiungerla ed esplorarla. Ero giovane e impulsivo, volevo
la mia dose di avventura ma ogni mio tentativo si risolveva sempre nella
sparizione dell’isola. Solo quando ho perso interesse a raggiungerla sono
riuscito a vederla per quello che è: l’isola rappresenta la nostra fantasia e la
puoi raggiungere solo attraverso essa, la puoi vedere ed avere solo quando non
la desideri con la ragione.
Mi vengono in mente le parole di Chiara: “mi piacciono i
sogni”. Allora capisco che nel mondo del sogno l’isola del tesoro diventa
l’isola che non c’è. Si tratta di un diverso modo di percepire le cose e io,
con la mia visione sempre razionale, continuavo a scontrarmi contro un muro di
impossibilità.
Spesso la mia capacità di pensiero razionale mi rende
presuntuoso e non capisco che altri, quando parlano in modi diversi dai miei,
possano comunque aver ragione. Questo mio modo di affrontare il mondo può
andare bene nel lavoro ma nei confronti delle persone manifesta molti limiti.
Cercavo di fuggire dal mondo reale costruendomene uno
irreale ma sempre fatto con rigore razionale. Invece quello che occorre
veramente per liberare la mente è un mondo surreale in cui le regole di tutti i
giorni possono essere stravolte a piacere. Una totale libertà di pensiero.
Questa sera Giacomo mi ha fatto un regalo impagabile. In
sua compagnia ho capito quello che da solo mi ostinavo a non vedere. Lo saluto con affetto e scendo
le infinite scale per tornare al parcheggio e quindi a casa. Subito cerco
Chiara in chat, ma vista l’ora tarda non ho fortuna. Non mi rimane altro che
sperare nel bel tempo di domani e tentare di vederla al consueto luogo di
incontro sul lungomare.
La mattina, con un po’ di ansia, mi presento in riva al
mare e mentre aspetto Chiara vedo l’isola che mi sorride e i mi sembra
addirittura più vicina. La guardo con occhi diversi, non cerco più di
studiarla, ma mi limito a contemplarla; non cerco di capire perché sia li, ma
accetto la cosa. Mentre passo da una fantasia all’altra sento la voce di Chiara
che mi dice:
-
Allora ti piace l’isola che non c’è! Vedo che sei
cambiato dall’altra sera, altrimenti non potresti vederla. Hai finalmente
capito da dove vengo e ora potremo veramente stare in compagnia. Quando ti
incontravo la mattina capivo che eri tentato dalla ricerca di un mondo diverso,
ma erano ancora troppi i legami che ti impedivano di capire come funzionasse
l’isola. Giacomo è una persona speciale ed è abilissimo a parlare con la gente
e indirizzarla sulla giusta strada.
-
Non sapevo che vi conosceste, sei così giovane e non
pensavo che aveste qualcosa in comune a parte la passeggiata mattutina.
-
Ci siamo incontrati un giorno sull’isola. Lui era molto
più giovane e aveva trovato da solo la strada per venirmi a trovare. Da allora
la saggezza è cresciuta in lui alimentata dalle continue visite e ora, la
mattina, si diverte a trovare e ad aiutare le persone che potrebbero essere
mature per un nuovo modo di vedere il mondo.
Ma come è possibile che Chiara abbia incontrato il vecchio
Giacomo da giovane! Lui avrà più del doppio dei suoi anni! La guardo incredulo
e sto per manifestarle i miei dubbi quando lei mi dice:
-
So a cosa stai pensando. Ma per capire devi uscire dal
tuo mondo reale per immergerti nel mio. Tu mi chiami Chiara, ma io in realtà
sono la Fantasia e abito sull’isola che ormai riesci a vedere se solo ti
abbandoni tra le mie braccia. Ora sai che potremo stare insieme quando lo
vorrai sull’Isola che non c’è.
-
Ti vedrò di nuovo?
-
Si. Ogni volta che sognerai.