giovedì 23 febbraio 2012

All’ombra dell’ibisco










Era un pomeriggio inoltrato di metà primavera ma l’aria stentava a scaldarsi nonostante il bel tempo degli ultimi giorni e il sole riusciva ad infiltrarsi attraverso la volta della Gare de Lyon. Un treno aspettava in quieta attesa mentre gli ultimi passeggeri salivano sulle varie carrozze. Paul era arrivato per tempo riuscendo a sistemare il suo voluminoso bagaglio nello scompartimento. Era una persona avvezza ai viaggi e questo verso sud non lo colpiva particolarmente; attendeva così, rilassato, la partenza del convoglio che lo avrebbe portato a Marsiglia.

Nel frattempo si crea un pò di trambusto lungo il marciapiede dove un giovane avanzava con passo frettoloso, agitando un braccio per incitare un facchino alle prese con il proprio carretto carico di masserizie. Finalmente giunge a fianco della carrozza dove sale con evidente sollievo, seguito dal facchino con i suoi bagagli. Percorre il corridoio con il biglietto in mano cercando lo scompartimento a lui assegnato e, arrivato di fronte a quello di Paul, vi si infila risoluto lanciando un breve saluto di circostanza essendo in evidente carenza di ossigeno per la corsa appena fatta.

Dopo  qualche istante il treno inizia a  muoversi e un’espressione di sollievo si dipinge sui volti di Paul e del nuovo arrivato. Il primo inizia a curiosare tra i bagagli e il suo occhio attento individua un particolare a lui familiare:

-         Siete un pittore?

Il ragazzo inizialmente si stupisce della domanda ma poi segue con l’occhio lo sguardo del vicino che si posa sul suo cavalletto e così capisce.

-         E’ un cavalletto, si, ma non sono un pittore ma un fotografo e quella è una parte della mia attrezzatura.

Istintivamente Paul storce il naso cercando però di non farsi notare ma inutilmente perché l’altro, sempre attento, si è accorto del cambio di umore del più anziano compagno di viaggio.

-         Mi dovete scusare, ma non apprezzo questa nuova moda della fotografia con cui si fa scempio delle immagini senza che il cuore di un artista ne abbia guidato l’opera. Solo una persona dedita da una vita alla sacra arte può cogliere l’anima delle cose e trasporla su una tela. Le vostre sono solo diavolerie moderne che, passata la moda, verranno velocemente dimenticate.
-         Suvvia signore, non dite così, ormai viviamo in tempi moderni, siamo nel 1891, ma non avete visto le meraviglie dell’esposizione universale!
-         Sarà come dite voi, ma non ho ancora visto qualcosa che possa lontanamente essere paragonato ad un dipinto dove la natura si mescola ai sentimenti del pittore che sa coglierne l’essenza.

Detto questo i due, che non si erano neanche presentati, tornano ai rispettivi pensieri immaginando di non avere nulla da spartire con l’altro né per l’età (uno sembra avere il doppio degli anni dell’altro) né per interessi.

-         Nonno, ma allora come hanno fatto a conoscersi se non si parlavano!
-         Aspetta, aspetta, il viaggio è appena iniziato e durerà veramente tanto. Ci saranno altre occasioni, vedrai.

Io guardo mio nonno e pendo dalle sue labbra. I suoi racconti mi entusiasmano sempre e quando la domenica lo vado a trovare spero sempre che sia in vena di narrarmi qualcosa di nuovo. Questa volta devo averlo punto nel vivo perché quando sono corso da lui con una foto e un disegno, dopo aver rovistato come sempre tra le sue cose, mi ha accolto con uno sguardo allarmato. Sia la foto sia il disegno rappresentavano lo stesso soggetto e mi sembravano entrambi molto vecchi.

Il nonno me li prende dalle mani con estrema delicatezza e li posa sul tavolo, li guarda per un po’ rimanendo sopra pensiero e poi mi dice:

-         Ora ti racconto una storia.

Non aspettavo altro che sentire quelle parole, così prendo una sedia e mi ci accoccolo sopra in attesa di ascoltare il nonno.

Dopo infinite fermate il treno arriva a Marsiglia e i due, trovati altrettanti facchini, scendono dal treno e si perdono di vista dopo un breve e formale saluto di circostanza. Dopo un breve percorso su un’auto pubblica, Paul arriva al porto vicino allo scalandrone della nave. Si accorda per far portare a bordo le proprie cose e poi si avvia sulla passerella.

Riesce ad arrivare sull’ultimo gradino quando nota un’altra vettura, carica all’inverosimile, che si avvicina alla scaletta. Lo coglie un presentimento che diventa certezza quando vede l’attrezzatura sul portapacchi e il suo compagno di viaggio scendere dall’auto senza abbandonare quell’aria agitata che ha contraddistinto la sua salita sul treno. Sembra che ogni spostamento crei in lui uno stato di ansia che contagia chiunque lo circondi.

Ormai rassegnato, Paul si ferma ad aspettare il collega che non tarda a raggiungerlo sul ponte della nave.

-         Immagino che faremo un pò di strada insieme, tanto vale presentarci. Mi chiamo Paul.
-         Piacere, Andrea anzi, come dite da queste parti, André.
-         Piacere, André, dove siete diretto?
-         Vado in Polinesia a fare fotografie, sarò il primo fotografo a visitare quei posti, scriverò libri, allestirò mostre e tutti vorranno vedere cosa si può fare con i nuovi miracoli della tecnica!

A quel punto Paul ha un sussulto ma questa volta, sarà per la complicità del buio, la reazione non viene colta da Andrè che, ancora eccitato per la partenza, continua a guardarsi intorno spaesato.

-         Anche io vado in Polinesia, ma ci vado per dipingere qualcosa che nessuno ha ancora avuto modo di conoscere, una natura incontaminata, lontana dalla nuova civiltà. Sarà un’esperienza unica.

Dette queste cose, si avvicinano loro gli inservienti di bordo che li accompagnano alle rispettive cabine. Ormai il viaggio vero è iniziato e sarebbe durato oltre due mesi in cui la nave avrebbe fatto  scalo a Bombay, circumnaviganto il sud dell’Australia e, dopo una sosta ad Auckland, finalmente sarebbe giunta a Papeete.

-         Nonno, ma eri tu? Si chiama Andrea come te!
-         No, no quell’Andrea era mio padre, il tuo bisnonno. Uno dei primi fotografi. Da Genova si era trasferito a Parigi dove aveva trovato il modo di imparare la nuova tecnica. Ora per te la fotografia è cosa da tutti i giorni, ma a quell’epoca era una grande novità e lui era riuscito a procurarsi uno dei primi apparecchi portatili.
-         Ma non potevano prendere un aereo, come si fa a stare due mesi su una nave!
-         Non esistevano ancora gli aerei e i viaggi duravano veramente tanto!

Due mesi trascorsi in nave sono almeno serviti per ammorbidire il carattere dei viaggiatori che alla fine, se non proprio amici, hanno iniziato a trovare piacevole la reciproca compagnia. A Papeete i due sono accolti da un’aria calda, profumata di ibisco e di gardenie, ad attenderli trovano gente sorridente, così in contrasto con il fervore modernista di Parigi. Si salutano sul pontile e si augurano di rivedersi durante il loro soggiorno sull’isola.

Mentre Paul va a sud André si sposta a Nuuna sull’isola vicina dove viene accolto da Moeata. Il suo nome significa “Nuvola addormentata nel cielo” e gli fa vedere la capanna dove alloggerà. E’ una sistemazione angusta, una sola stanza, ma si affaccia direttamente sulla spiaggia al tramonto. Lo spettacolo è bello da piangere e lui per riposarsi dal viaggio si crogiola in una natura fatta di sabbia chiara, mare cristallino e piante profumate di ibisco che corrono da dietro la capanna fino alla piccola strada che percorre circolarmente tutta l’isola.

Nei giorni successivi inizia a spostarsi da un villaggio all’altro, sempre a piedi viste le distanze limitate, accompagnato a turno da una delle figlie di Moeata, la minore, Areiti “Piccola onda del calmo mare” e la grande Arenui “La grande onda del profondo Oceano”. Le ragazze, quando non sono impegnate ad accompagnarlo, confezionano ghirlande di Tiarè da mandare a Papeete e la loro casa è sempre meravigliosamente profumata.

Gli scatti si fanno sempre più numerosi visto che non c’è angolo di quel paradiso che non ispiri un’immagine e la voglia di portarlo con se. Se la fotografia cattura l’anima delle persone dovrebbe farlo anche con quella dei luoghi e ogni scatto dovrebbe contenerne una piccola quantità. Questa poi dovrebbe riversarsi su chi osserverà l’immagine, così precisa, piena di particolari e di profondità che nessuna pittura può eguagliare.

Però, in quel luogo di colori, Andrè inizia a considerare il punto di vista di Paul. Le immagini in bianco e nero prodotte dalla sua attrezzatura non possono cogliere la bellezza di quei colori che invece fanno splendida mostra di sé sulle tele del pittore. Uno ha in mano la precisione mentre l’altro può cogliere l’atmosfera; uno congela la realtà ma l’altro coglie il senso delle cose. Quale preferire?

Dopo un anno si incontrano a Papeete dove entrambi si recano per inviare a Parigi il proprio lavoro; lì passano alcuni giorni in cui Paul produce alcuni disegni del posto e Andrè scatta foto ai medesimi soggetti. Andrè torna così a Parigi e Paul come ricordo della loro permanenza sull’isola gli regala uno degli ultimi disegni. Sarà il loro ultimo incontro.

Il nonno termina il racconto e prende in mano la vecchia foto in bianco e nero e il disegno e me li porge perché, ora che conosco la storia, possa guardarli con altri occhi. La fotografia è vecchia, stampata su una carta opaca e l’immagine è stinta mentre il disegno, tracciato a matita su una carta lievemente ingiallita, resta nitido e la giovane donna ritratta risalta nella sua bellezza.

Volto entrambe le carte e mentre sulla foto c’è solo la scritta “Papeete 1892”, sul retro del disegno c’è una dedica:

Avec affection à mon amie André
Paul Gauguin.